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Silvio Valenti Gonzaga, biografia di un cardinale illuminato

Silvio Valenti Gonzaga

Il suo nome non è tra i più noti nella storia della Chiesa di Roma ma il cardinale Silvio Valenti Gonzaga, segretario di stato di papa Benedetto XIV, il pontefice tanto apprezzato da Voltaire, fu una delle personalità più rappresentative e importanti del suo tempo, capace di lasciare il segno anche nei secoli a venire.
Questo è il racconto di un cardinale illuminato.

Dalla natia Mantova all’eternità di Roma

Silvio Valenti Gonzaga nasce a Mantova il 1° marzo del 1690. Figlio di due marchesi, il padre Carlo Francesco era marchese di Montilio, mentre la madre, Barbara Andreasi, apparteneva al marchesato di Rolo, con simili natali che si aggiungevano al legame con la storica dinastia dei Gonzaga, il futuro per il piccolo Silvio non poteva che essere segnato.

Ma in quel lembo di fine Seicento la città che diede i natali a Virgilio e che nei secoli a seguire era stata la capitale del potere dei Gonzaga, non è più il posto ideale dove formarsi, nonostante un prestigioso passato, scandito da trionfi militari, artistici e letterari.

Per questo i genitori mandano Silvio a Parma, presso il collegio di Santa Caterina, prestigiosa istituzione scolastica fondata da Ranuccio I Farnese nel 1601, da decenni punto di riferimento per i rampolli dell’aristocrazia europea.
Silvio fin da piccolo dimostra una particolare predisposizione per gli studi, padroneggiando in diverse discipline, dal greco antico al francese, idioma che imparerà egregiamente, diventando una sorta di sua seconda lingua.

Ma è nel diritto che Silvio Valenti Gonzaga eccellerà, laureandosi con il massimo dei voti il 27 settembre 1710 in diritto civile e canonico a Ferrara, il passaporto per la futura carriera ecclesiastica, alla quale è predestinato fin dalla nascita.
Dalla laurea nella città degli Estensi all’approdo a Roma il passo è breve. Per il giovane Silvio la capitale del cattolicesimo è la meta agognata, il naturale porto dove iniziare una carriera che si preannuncia il più possibile prestigiosa; per questo viene affidato alle cure di monsignor Celestino Galiani, una delle personalità più in vista del momento.

Silvio Valenti Gonzaga

Originario di San Giovanni Rotondo, Celestino Galiani, quando il giovane Silvio arriva a Roma, è docente di storia ecclesiastica presso l’università “La Sapienza”. Ma gli interessi di monsignor Galiani sono molteplici e spaziano dalla storia al diritto, senza trascurare le scienze e, in particolare, le nuove, discusse teorie di personalità come Galileo, Cartesio e soprattutto Newton, personalità che hanno creato non poco subbuglio nella città dei papi.

Sotto la guida di Celestino Galieno il futuro segretario di stato cresce in cultura, mostrando, altresì, una tolleranza e un’apertura mentale verso il nuovo, visto non come un impedimento, un male assoluto ma alla stregua di un’occasione con cui costantemente confrontarsi.

Una sfolgorante carriera

La profonda cultura, l’abilità oratoria, la padronanza nella lingua francese, all’epoca il lessico della diplomazia, sono qualità difficili da tenere celate, specie nelle stanze vaticane. Per questo il nome di Silvio Valenti Gonzaga arriva preso alle orecchie di Clemente XI. Papa Albani affida nel 1719 al giovane Silvio un delicato compito, quello di negoziare la restituzione della città di Comacchio, dopo l’occupazione nel 1708 da parte delle truppe germaniche.

Valenti Gonzaga, pur neofita nella sofisticata arte della diplomazia, dimostra subito qualità superiori, ottenendo l’agognata restituzione della località ferrarese, strategica per lo Stato della Chiesa.
Quel successo non scontato palesa il valore di Silvio Valenti Gonzaga che da quel momento in poi inizia a collezionare cariche sempre più prestigiose, specie sotto Benedetto XIII, grazie al quale diviene consultore inquisitorio prima e referendario del Supremo tribunale dell’Apostolica poi.

Ordinato sacerdote il 3 giugno 1731, quindici giorni dopo è nominato vescovo da Clemente XII. Ed è proprio l’investitura episcopale ad aprirgli le porte della nunziatura apostolica a Bruxelles prima e a Madrid poi, esperienze altamente formative, i cui echi giungono fino a Roma, dove l’attende l’agognata porpora.

La berretta cardinalizia e la nomina a segretario di stato

Il 19 dicembre 1738 nel corso del concistoro Clemente XII nomina Silvio Valenti Gonzaga cardinale ma papa Corsini va anche oltre la berretta porpora, visto che conferisce al Gonzaga anche la prestigiosissima carica di Legato a Bologna, un riconoscimento che conferma il grado di considerazione del pontefice fiorentino per il neo cardinale mantovano, la cui ascesa non è ancora giunta al suo livello massimo.

Il 6 febbraio 1740 Clemente XII muore. Per Silvio Valenti Gonzaga si tratta di una ferale notizia, non solo sul piano umano, visto quanto papa Corsini ha fatto per lui. Ora, però, la Chiesa di Roma necessità di un nuovo pontefice, il 246° successore di Pietro.

Il conclave che si apre ufficialmente il 18 febbraio 1740, il primo e ultimo a cui prende parte Silvio Valenti Gonzaga, sarà uno dei più lunghi e controversi di sempre. Il peso politico che grava su quella che dovrebbe essere solo una questione spirituale è enorme. Le fazioni in campo che riflettono gli orientamenti politici internazionali sono agguerrite e a farne le spese è la Chiesa di Roma che avrà la sua nuova guida solo il 17 agosto, quando i cardinali eleggono il bolognese Prospero Lambertini che assumerà il nome di Benedetto, il quattordicesimo nella cronologia pontificale.

Se a papa Corsini Silvio Gonzaga deve la berretta cardinalizia, a papa Lambertini dovrà l’ufficio di segretario di stato, la più importante figura politica nella gerarchia ecclesiastica, nomina che arriva il 20 agosto, tre giorni dopo la travagliata scelta del conclave.

Questa nomina, decisamente rapida, è figlia della profonda stima che il pontefice bolognese nutre per Gonzaga. Del nuovo segretario Benedetto XIV apprezza, in particolare, la raffinata diplomazia che ha permesso al cardinale di risolvere in passato complesse questioni politiche, facendosi apprezzare da re e imperatori. Ma del Gonzaga papa Lambertini ammira anche la profonda cultura, l’apertura mentale, la visione decisamente innovativa in merito alla tutela e alla conservazione del patrimonio artistico e archeologico di Roma che Benedetto XIV, al pari del Gonzaga, ritiene un’assoluta priorità per la Città eterna.

Tra arte, scienza e otium, il profilo di un illuminista

Uno dei primi provvedimenti che certificano la volontà di Silvio Valente Gonzaga di incidere nella vita culturale di Roma, coincide con la creazione nell’autunno del 1740, a pochi mesi dunque dalla sua nomina, di quattro accademie: quella dei Concili, di Storia ecclesiastica, di Liturgia e, infine, di Storia romana.

Ma l’attività del neo segretario di stato non si ferma alla nascita di nuove istituzioni culturali. Nel suo cronoprogramma trovano spazio anche le vestigie del passato che Gonzaga vuole non solo tutelare ma anche promuovere, il tutto attraverso un percorso che vede da una parte un’attività di restauro e dall’altra una consequenziale opera di valorizzazione, perché un bene culturale deve essere innanzitutto un’opportunità fruibile per tutti.

In quest’ottica che Benedetto XIV condivide appieno, si inserisce la creazione tra il 1748 e il 1750 della Pinacoteca Capitolina, la più antica quadreria pubblica della storia, il cui nucleo originario è composto da dipinti del Cinquecento e del Seicento che, opportunamente acquistati, riflettono la rivoluzionaria cifra culturale che Benedetto XIV e il suo sodale Silvio Valenti Gonzaga mettono in atto.

Nella collezione originaria della neocostituita Pinacoteca Capitolina trovano spazio opere di Tiziano, di Rubens ma anche di Caravaggio, dipinti meravigliosi ma anche “pericolosi”. Le scelte stilistiche ma anche le modalità con cui certi temi vengono trattati suscitano inevitabilmente negli stadi più retrogradi della società romana non poche critiche ma sono giudizi che non spaventano più tanto Silvio Gonzaga che dalla sua ha il più importante dei sostenitori, quel papa degli eruditi come felicemente definì Montesquieu Benedetto XIV.

A dimostrazione della profonda apertura mentale del nuovo segretario c’è anche la fondazione, con tanto di bolla papale, nel 1754, dell’Accademia del nudo, una novità assoluta che scuote le fondamenta dell’ingessata società romana.
Collocata in Campidoglio e affidata alla direzione dell’Accademia di San Luca, questa avveniristica istituzione mette il corpo nudo al centro dello studio dell’arte, una scelta che, al netto delle inevitabili reazioni, non tutte di sapore negativo, certifica la visione illuministica del Gonzaga.

Non solo l’arte e l’archeologia ma anche le scienze animano le politiche del segretario di stato. In quest’ottica vanno considerate la nascita presso l’università di Roma delle cattedre di Istituzione ed esperimenti chimici, affidata allo scienziato ferrarese Luigi Filippo Giraldi, di Fisica sperimentale, nonché di Matematiche superiori, assegnata al francese Thomas Le Seur, quest’ultimo formatosi sulle rivoluzionarie teorie di Isaac Newton che tanto rumore avevano creato in passato dentro e fuori i confini romani.

Ma tra i tanti meriti di Silvio Valenti Gonzaga, tra cui anche l’adozione di un rigoroso programma di restauro di diverse chiese di Roma, c’è anche l’editto del 5 gennaio 1750, che nell’ambito di una primordiale storia della promozione e difesa dei beni culturali, rappresenta una pietra miliare. Quell’editto che Benedetto XIV ancora una volta condivide totalmente, non tutela solo come logico le antichità ma estende ampie garanzie anche alle opere moderne e contemporanee, per la prima volta collocate sul medesimo piano di quelle più celebri e datate.

Un’operosità intensissima quella di Silvio Valenti Gonzaga, fatta anche di una capillare attività diplomatica spesa in tempi in cui il primato spirituale ma soprattutto politico della Chiesa di Roma è sempre più messo in discussione. Ma a questo impegno profuso appieno si contrappone anche la necessità da parte del segretario di stato di Benedetto XIV di ritagliarsi del tempo per sé, completamente immerso nella meraviglia dell’arte, di quelle moltissime opere di cui si circonda nella sua villa di campagna, sulla via Salaria, non distante dal Quirinale, la cui costruzione principia a partire dal 1749.

Quella dimora così diversa da tante residenze aristocratiche dell’epoca, diviene in poco tempo uno vero e proprio scrigno d’arte, raggruppando in un’unica sede oltre 800 tra dipinti e sculture, appartenenti ad artisti del calibro di Tiziano, Veronese, Annibale Carracci, Mantegna, Raffaello ma anche Rembrandt, Velasquez, Poussin e molti altri, un trionfo di arte che ispirerà il piacentino Giovanni Paolo Pannini per il suo “La quadreria del cardinale Valenti Gonzaga”.

Non solo opere d’arte.

In quel buen retiro trovano spazio oltre 1500 volumi e ben 40000 opuscoli, una biblioteca ricchissima e varia che alla morte del cardinale, avvenuta a Viterbo il 28 agosto 1756, al pari della collezione d’arte, sarà purtroppo smembrata, perdendo quell’unicità tanto cara al segretario di stato.

Miglior fortuna ebbe la villa che dopo aver cambiato più di un proprietario, nel settembre 1816 sarà acquistata da Paolina Borghese che dopo la caduta dell’amato fratello nella piana di Waterloo, ha scelto di vivere a Roma, mettendosi sotto la protezione di papa Pio VII, un tempo uno dei peggior nemici di Napoleone.
Paolina, separatosi dal marito Camillo, trasforma quella che fu la dimora del cardinal Gonzaga, oggi sede dell’ambasciata francese presso la Santa Sede, in una delle dimore private più belle e originali di sempre, lasciando in ogni ambiente la propria ineguagliabile presenza, la stessa che anni prima il genio di Antonio Canova aveva eternato in una delle sculture più iconiche del neoclassicismo, esempio impareggiabile di perfezione e seduzione.

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