Fatti della Storia

Il caso Rosenberg nell’America maccartista

Processo caso Rosenberg

Settant’anni fa si concludeva nel modo più tragico la vicenda giudiziaria di Ethel e Julius Rosenberg, due cittadini americani di origine ebraica, prima indagati e poi condannati per spionaggio a vantaggio dell’Unione Sovietica e giustiziati il 19 giugno 1953.

Questo è il racconto di un caso giudiziario che scosse il mondo intero, la cui eco arrivò persino nelle impenetrabili stanze del Vaticano.

L’arresto dei Rosenberg nell’estate del 1950

Ossining, Stato di New York, carcere federale di Sing Sing Correctional Facility, meglio noto semplicemente come Sing Sing, venerdì 19 giugno 1953. Non è ancora scesa la sera quando la sedia elettrica entra ben due volte in funzione, prima uccidendo Julius Rosenberg, poi sua moglie Ethel.

Ethel e Julius Rosenberg

Ma perché quei due coniugi, sposatisi nel 1939, lo stesso anno in cui Julius Rosenberg si è brillantemente laureato in ingegneria, sono stati giustiziati a Sing Sing?

Riavvolgiamo il nastro e ripartiamo dall’estate del 1950 quando muove i primi passi una vicenda giudiziaria che si protrarrà per ben tre anni tra processi, polemiche, reiterati appelli di grazia e le esecuzioni finali.

Tutto ha inizio il 17 luglio 1950 quando Julius Rosenberg viene arrestato. La motivazione è da far tremare i polsi. Rosenberg è incriminato di spionaggio internazionale per aver passato ai sovietici informazioni fondamentali per la produzione della bomba atomica. Si tratta di un’accusa mostruosa che nell’America della Guerra fredda equivale, se confermata in sede giudiziaria, alla condanna a morte.

Poche settimane dopo, l’11 agosto, a finire in manette è Ethel Rosenberg. Per gli inquirenti è colei che ha materialmente prodotto i testi incriminati, finiti poi nelle mani dei sovietici, utilizzando una comune macchina per scrivere.
Ai coniugi Rosenberg l’autorità giudiziaria è giunta al termine di una più ampia inchiesta, originata dalla volontà di capire come Mosca abbia potuto produrre nel 1949 la bomba atomica, quando sembrava tecnologicamente ancora distante dalla sua stessa concezione.

Il possesso da parte dei sovietici dell’ordigno atomico, in un mondo divenuto oramai bipolare, ridisegna inevitabilmente i rapporti di forza, sovvertendo pericolosamente quegli equilibri fino a quel momento apparentemente consolidati.

Per gli inquirenti il salto tecnologico compiuto rapidamente da Mosca ha una sola spiegazione: qualcuno ha passato ai sovietici quelle preziose informazioni che hanno permesso al nemico di arrivare a un approdo fino a poco prima impensabile. Di conseguenza le indagini si concentrano su coloro che, pur con ruoli differenti, sono stati più o meno legati al mondo dell’atomica.

Klaus Fuchs
Klaus Fuchs

Il primo a cadere nelle maglie della giustizia è Klaus Fuchs, un tecnico di origine tedesca, anni prima coinvolto fattivamente nel Progetto Manhattan. Le sue ammissioni portano all’arresto di Harry Gold ed è quest’ultimo a fare il nome di David Greenglass, il grande accusatore, insieme a sua moglie Ruth, dei Rosenberg.

Militare di professione con il grado di sergente, Greenglass, in passato, ha lavorato a Los Alamos, nei cui laboratori ha visto la luce quella bomba atomica che nell’estate del 1945 era stata sganciata per ben due volte sul suolo giapponese, provocando morte e distruzione e obbligando l’imperatore Hirohito alla definitiva resa, annunciata ai suoi sudditi con uno storico discorso.

Ma David Greenglass è anche il fratello di Ethel Greenglass, dal 1939 moglie di Julius Rosenberg. David nel corso dei primi interrogatori, persuaso dagli investigatori che una fattiva collaborazione sarà adeguatamente considerata, inizia a fare dei nomi, tra cui quello di Morton Sobell ma, soprattutto, quello di suo cognato Julius e di sua sorella Ethel.

A legare tutti questi personaggi non ci sono solo gradi di parentela e di collaborazione lavorativa ma anche l’adesione all’Young Communist League, un’organizzazione giovanile di estrema sinistra. Insomma, un quadro criminale perfetto, ideale per passare dalle indagini alle aule di tribunale.

Il processo e le inevitabili sentenze

Il 6 marzo 1951 si apre ufficialmente il processo per spionaggio che porta alla sbarra, tra gli altri, anche i coniugi Rosenberg. L’America ossessionata dal pericolo “rosso” e intrisa di maccartismo, quel particolare atteggiamento politico promosso dal senatore Josep McCarthy e caratterizzato da un esasperato clima di sospetto e da comportamenti persecutori nei confronti di quelle persone e gruppi ritenuti sovversivi tra cui, in primis i comunisti, ha finalmente pane per i suoi denti aguzzi.
Così lo storico Giuseppe Mammarella sul maccartismo:

«Se da fenomeno di folklore politico, al quale il maccartismo avrebbe potuto rimanere confinato, esso dilagò a livello di paranoia collettiva, ciò è da imputarsi al sostegno che trovò nel Partito repubblicano che, teso spasmodicamente alla riconquista della Casa Bianca, utilizzerà McCarthy e il maccartismo come uno dei principali strumenti della campagna elettorale.»

Fin dalle prime udienze appare evidente come la sorte dei Rosenberg sia segnata. Emblematica, in tal senso, è la dichiarazione con cui il giudice Irving Kaufman inaugura il processo. Si tratta di parole che riverberano quel diffuso e prevalente sentimento anticomunista che pervade una consistente parte del popolo americano:

«Le prove dimostreranno che la lealtà e l’alleanza dei Rosenberg e di Sobell non erano per il nostro paese, ma per il comunismo. Per il comunismo in questo paese e in tutto il mondo. Sobell e Julius Rosenberg, compagni di classe al college, hanno dedicato se stessi alla causa del comunismo. Questo amore per il comunismo e per l’Unione Sovietica li ha fatti finire in breve tempo in una rete di spionaggio sovietica.»

Il dibattito nell’aula di giustizia tra deposizioni, testimonianze, arringhe si fa subito infuocato. L’opinione pubblica inevitabilmente si spacca tra colpevolisti e innocentisti. L’America sembra ripiombata nel clima che fece da substrato alla vicenda di Sacco e Vanzetti, rei, alla fine, solo di essere degli anarchici e peggio ancora, immigrati.

Joseph MacCarthy
Joseph MacCarthy (Wikipedia/Public Domain)

Il processo avanza spedito. Il clou viene toccato quando nel corso di estenuanti dichiarazioni Morton Sobell e Julius Rosenberg ammettono di aver passato delle informazioni ai sovietici ma in un momento storico non sospetto, visto che all’epoca dei fatti Stati Uniti e Unione Sovietica erano alleati. Aggiungono anche, con il chiaro intento di alleggerire la loro posizione, che quelle informazioni, pur rilevanti, non riguardavano affatto la bomba atomica bensì questioni relative ai radar e alla artiglieria.

Ma i giudici non credono ai due e il 5 aprile, a meno di un mese dalla sua inaugurazione, pronunciano l’attesa sentenza, che, come facilmente prevedibile, è di colpevolezza. Morton Sobell viene condannato a 30 anni, ne sconterà solo 18. Julius Rosenberg e sua moglie Ethel, invece, vengono condannati a morte.

Gli echi alla sentenza e la sera del 19 giugno 1953

Le reazioni ai verdetti non si fanno attendere. Al plauso di quella parte più reazionaria della società americana che ritiene che giustizia sia stata fatta, si contrappongono quei settori più progressisti che ritengono la sentenza un abominio giuridico, basata su preconcetti e su un clima di diffuso anticomunismo che peserà in modo determinante sul parere dei giudici.

Esempio di propaganda anticomunista (Wikipedia/Public Domain)

Al gruppo degli innocentisti si iscrivono anche molti intellettuali di varia estrazione e nazionalità, come la pittrice Frida Khalo, il noto muralista Diego Rivera ma anche Bertolt Brecht, Pablo Picasso e Jean Paul Sartre.

Questi chiedono a gran voce la grazia per i Rosenberg che, intanto, vengono rinchiusi nel carcere di Sing Sing in attesa di compiere il loro ultimo miglio prima di essere giustiziati.

A implorare il repubblicano Eisenhower, succeduto nel frattempo al democratico Truman, a concedere la grazia ai due coniugi, è persino papa Pio XII che in una lettera al presidente americano, pur non entrando nella vexata questio giudiziaria, gli chiede di «moderare la giustizia con la pietà.»

Il clamore mediatico generato dalla condanna a morte di Julius e Ethel Rosenberg dilata i tempi dell’esecuzione delle sentenze e i coniugi Rosenberg rimangono nel limbo di color che son sospesi tra la vita in carcere e la morte sulla sedia elettrica.
I giorni si rincorrono con un’estenuante lentezza, mettendo in fila settimane, mesi, una dilatazione del tempo che trasforma l’attesa in una lenta agonia. Le grazie non arrivano ma neppure le esecuzioni.

Poi, quando il presente sembra aver vinto sul futuro, ecco giungere il giorno del miglio finale, le cui fattezze hanno il profilo dell’ultimo venerdì di primavera.
Il sole, quel 19 giugno del 1953, non è ancor calato sul penitenziario di Sing Sing che dal 1826 scruta immobile le placide acque del fiume Hudson, quando Julius ed Ethel Rosenberg lasciano per l’ultima volta quelle celle dove hanno vissuto per più di due anni, da quel nefasto 5 aprile 1951.

Hanno rispettivamente 35 e 37 anni e due figli piccoli, di 7 e 3 anni. I loro passi sono brevi, cadenzati, al contrario dei pensieri che in quel breve tragitto che precede la morte, si affollano vorticosi e pesanti. Ad attenderli, oltre al boia, ci sono tre giornalisti, i corrispondenti della Associated Press, della United Press e dell’International News Service, gli unici della stampa a essere ammessi. E poi, a chiudere la piccola, silenziosa platea, quattro funzionari del carcere e due dottori.
Il primo a essere giustiziato è Julius per il quale è sufficiente una sola scarica elettrica.

Poi, è la volta di Ethel ma la sua morte non sarà immediata. Dopo ben tre scariche prodotte da quella che da anni cinicamente è stata ribattezzata la “Old Sparky”, Ethel è ancora viva, come constata con stupore uno dei due medici presenti. Allora il boia abbassa per altre due volte la leva, infliggendo nuove scariche elettriche questa volta fatali.

Poco dopo i media americani diffondono la notizia delle due esecuzioni ed è così che Michael, il più grande dei due figli dei Rosenberg, apprende la notizia della morte dei genitori. La notizia delle due esecuzioni filtra anche nelle stanze del Congresso americano, dove i commenti sono di generale soddisfazione, riassumibili nelle parole del senatore Walker che, venuto a sapere di quanto accaduto a Sing Sing, serafica, chiosa: «giustizia è fatta.»

A distanza di settant’anni da quei fatti in molti è sempre più forte la convinzione che a suo tempo giustizia non fu affatto fatta. Perché Julius Rosenberg, pur avendo passato delle informazioni, non commise reati così gravi da meritare la sedia elettrica; ma soprattutto perché Ethel Rosenberg, del tutto estranea ai fatti, non meritava la morte, essendo responsabile, come spesso ribadito in questi ultimi anni anche dai figli Michael e Robert, solo di non aver voluto tradire suo marito e i suoi amici, al contrario di quello che fecero suo fratello David e sua cognata Ruth.

Poco prima di essere giustiziata Julius e Ethel dichiararono:

«Se verremo giustiziati, si tratterà dell’assassinio di innocenti persone e la vergogna ricadrà sul Governo degli Stati Uniti. Che noi si viva o no, la storia registrerà che noi siamo vittime della più mostruosa macchinazione della storia del nostro Paese.»

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