Il 12 aprile 1919, con il suo arresto, termina la carriera di uno dei serial killer più celebri della storia: Henri Désiré Landru.
Questo è il racconto di uno dei criminali più efferati del secolo scorso, le cui imprese delittuose furono fonte di ispirazione per romanzi, film, celebre Monsieur Verdoux, diretto dal grande Chaplin ma anche per altri efferati killer, come la nostrana Leonarda Cianciulli, la saponificatrice di Correggio.
Henri Landru, dall’esercito al carcere, i primi passi di un futuro serial killer
Henri Désiré Landru nasce a Parigi, il 12 aprile 1869, data che anni dopo festeggerà in modo del tutto diverso, di certo il suo peggior compleanno.
Figlio di un autista e una sarta, Henri cresce sano, dimostrando intelligenza ma anche una certa timidezza. I voti a scuola non sono eccellenti ma neppure pessimi, tanto da permettergli di superare i vari gradi delle scuole, al punto da iscriversi alla facoltà di ingegneria meccanica.
Nel frattempo arriva la chiamata alle armi, periodo durante il quale il futuro Barbablù dimostra disciplina e applicazione, tanto da ottenere i gradi di sergente; ma non è quella, probabilmente, la strada che vuole percorrere nella vita.
Nel 1898, dopo aver svestito la divisa, si convince di poter svoltare grazie a una bicicletta a motore di sua invenzione, orgogliosamente ribattezzata “Landru”.
Il progetto, mai realizzato in verità, ottiene l’appoggio finanziario di alcuni entusiasti investitori ma Landru, appena intascati i soldi, sparisce. È la prima di una serie di truffe che alterna con vari lavori, tra cui quello di rigattiere.
La familiarità con i raggiri gli apre inevitabilmente le porte del carcere dove vi rimane alcuni anni, una permanenza, tuttavia, non del tutto vana. Dietro le sbarre Landru escogita l’idea che lo porterà anni dopo alla ghigliottina.
Nella monotonia della vita carceraria partorisce la soluzione a quella vita di stenti che non desidera più condurre. Si accorge, leggendo le rubriche dedicate ai cuori solitari che sono tante le donne, spesso vedove e benestanti che anelano al matrimonio della vita, al grande amore.
Per questo già dal carcere inizia a pubblicare inserzioni sentimentali, proponendosi come un signore di mezza età, colto e agiato con il desiderio di convolare alle giuste nozze. Il dado è tratto e Landru non torna più indietro.
Henri Landru: vita da killer, anatomia di un omicida seriale
La prima vittima a cadere nella sua fitta ragnatela è una ricca vedova di Lille alla quale Landru, appena uscito dal carcere, riesce a estorcere la ragguardevole cifra di 15000 franchi. Quella è la prima di una serie di truffe ai danni di ricche vedove, il cui numero nella Francia impegnata nel primo conflitto mondiale aumenta vertiginosamente.
Landru perfeziona la strategia con cui adescare le sue prede allettate dagli annunci che compaiono su vari giornali. Una volta è un vedovo padre di due figli, facoltoso e desideroso di amore; un’altra un semplice vedovo dal cuore infranto; talvolta solo un cuore solitario che cerca un porto sicuro dove attraccare. Si firma con nomi ogni volta diversi da Petit a Fremyet, fino all’ultimo Guillet.
Le generalità cambiano, lo scopo no. L’obiettivo è sempre lo stesso, far cadere nella tela sapientemente intessuta le ricche, improvvide prede, avvinte da quei progetti perversi.
Le prime tre vittime delle dieci acclarate sono ospitate in una villa che affitta nei pressi di Vernouillet; le restanti sette, invece, nella celebre villa a Gambais, un edificio a due piani, circondato da un ampio giardino.
In entrambe le abitazioni, affittate a un fantomatico signor Dupont, il piano messo in atto dal Barbablù parigino è più o meno sempre lo stesso. A mutare sono solo i nomi delle “sue” donne, la loro età, non certo l’esito finale.
Affascinate dai modi raffinati, dalle mille attenzioni, dalle parole sdolcinate, quelle ignare vittime firmano a Landru le bramate procure, indispensabili per mettere le mani sugli agognati conti.
Ottenute le deleghe e sottratto a quelle donne ogni bene, perfino le dentiere, Landru passa alla loro uccisione, su cui, a tutt’oggi, permane il mistero. Probabilmente le strangola, dopo averle stordite con l’aiuto di sonniferi o medicinali. Sicuramente le fa sparire.
I corpi di quelle povere donne, dopo essere stati fatti a pezzi, vanno ad alimentare la stufa di casa, il miglior modo per occultare ogni tipo di prova.
Ma di quelle uccisioni una traccia rimane ed è contenuta in un quadernetto, nel quale Landru riporta non solo tutti gli averi delle sue vittime ma anche molte altre informazioni. Quella pratica certosina, a tratti maniacale, gli costerà molto cara.
L’arresto di Landru nella Parigi post bellica
Tutto funziona a meraviglia ma anche la tela meglio tessuta può presentare piccole smagliature e sono quelle, molto spesso, a determinare conseguenze impensabili.
Parigi, 12 aprile 1919. Nell’appartamento al 76 di rue de Rochechouart la tranquillità regna sovrana. Henri Landru dorme sereno, accanto a lui Fernande Segret, forse l’ennesima preda.
Alle 9.00 in punto il campanello di casa Landru suona. Henri si alza, va ad aprire ma non fa in tempo a richiudere la porta. Nell’appartamento piombano alcuni poliziotti, guidati dall’ispettore Jules Belin che al 76 di rue de Rochechouart non è arrivato per caso.
Qualche giorno prima Laure Bonhoure ha riferito alla polizia di aver riconosciuto in un uomo barbuto, uscito al braccio di una donna bionda da un negozio di porcellane, lo strano tizio in passato frequentato dalla sua amica Célestine Buisson, di cui non ha più notizie.
Quella di Laure Bonhoure è solo l’ultima segnalazione in ordine di tempo riguardo a donne sparite misteriosamente dopo aver conosciuto un uomo per corrispondenza ma quelle denunce, pur dettagliate, cadono nel vuoto. Nella Francia che si appresta a vivere l’ultimo anno di un conflitto sanguinoso e devastante, non c’è tempo per nulla, tantomeno per delle inspiegabili sparizioni.
Ma ora la guerra è finita e la polizia può nuovamente indagare e per Landru la lancetta del barometro pende decisamente verso il maltempo.
L’ex truffatore quel 12 aprile 1919 è tratto in arresto, un bel regalo di compleanno, non c’è che dire. L’accusa nei suoi confronti è pesante e riguarda per il momento la scomparsa di Célestine Buisson. L’irsuto inquilino, svegliato di soprassalto, non si schermisce più di tanto e ai poliziotti che in manette lo portano via cantilena di chiamarsi Lucien Guillet, negando ogni tipo di addebito.
Quella messinscena non muta neppure al commissariato, dove accusa i poliziotti di aver preso un colossale abbaglio.
Ma la corda intorno a quell’efferato killer inizia a farsi stretta. Dalla perquisizione in atto nell’appartamento parigino di Landru emergono le prime, pesanti prove, tra cui il famigerato quaderno che mutano lo stato dell’arte. L’ex stravagante inventore non è solo indiziato della sparizione di Célestine Buisson ma anche di quella di altre donne.
Le undici vittime di Henri Landru
Le indagini che porteranno Landru quasi due anni dopo alla sbarra, si concentrano su dieci donne, tante sono quelle che gli inquirenti pensano siano state uccise da Landru. La prima di questo macabro elenco è Jeanne-Marie Cuchet, una giovane vedova di trentanove anni, scomparsa al pari del figlio Andrè nel gennaio del 1915.
Poi è la volta Thérèse Laborde-Line, Marie-Angélique Guillin, Berthe-Anna Héon e Anne Collomb, tutte sparite nel 1915.
Jeanne Cuchet André Cuchet
L’anno dopo a svanire nel nulla sono Andrée-Anne Babelay, di soli 19 anni e Célestine Buisson che incontra un tal Fremyet, alias Landru, per la prima volta, a Garencieres.
Le ultime vittime sono Louise-Joséphine Jaume, Anne-Marie Pascal e, nel gennaio 1919, Marie-Thérèse Marchadier, vedova e proprietaria di una pensione al numero 330 di rue Sant Jacques.
Dieci le donne scomparse di cui gli inquirenti ritengono Landru direttamente responsabile, un numero che a detta degli inquirenti potrebbe essere ben maggiore, visto che tra le pagine del famoso quaderno i nomi femminili che affiorano sono quasi trecento.
Il processo Landrù, cronaca di un avvenimento
Il 7 novembre 1921, davanti alla corte d’assise di Versailles, si apre il processo a Henri Désiré Landru. La lunga attesa senza precedenti è «finalmente terminata» come scrive un giovane Pietro Nenni, uno dei tanti giornalisti incaricati di seguire quell’avvenimento giudiziario.
La Prima guerra mondiale ormai è uno sbiadito ricordo, al pari dei racconti di battaglia, echi svociati da confinare nei libri di storia.
L’attenzione mediatica è tutta per quell’omino barbuto, spesso vestito di nero che ricorda nei tratti somatici Toulouse-Lautrec, il geniale pittore originario di Albi che con il killer condivide anche il nome di battesimo.
Fin dalle prime udienze Landru diviene l’assoluto protagonista, muovendosi con disinvoltura nell’aula gremita del tribunale. Così il futuro leader socialista in una delle sue corrispondenze sul processo a Landru:
«Oggi Parigi era grigia e triste; a più riprese la neve ha fatto la sua apparizione portando la desolazione nei quartieri poveri dove l’inverno si annuncia particolarmente gravoso. In compenso a Versailles si rideva per il fatto che Landru si diverte e diverte il pubblico, mentre invece il Presidente si dimostra un poco seccato delle spiritosaggini con le quali l’imputato condisce la sua difesa, tanto che ad un certo punto ha detto: “Si sa che voi amavate lo spirito e l’acrobazia, ma state in guardia, gli acrobati qualche volta si rompono il collo”.»
Per l’accusa Landru è responsabile della sparizione e soprattutto della morte di 11 persone, dieci donne e un adolescente, il figlio di una di una delle vittime.
Le prove sono tante ma manca quella regina, i corpi di quelle povere donne. Un particolare non certo marginale sul quale Vincent de Moro-Giafferri, l’avvocato di Landru, uno dei legali più celebri di Francia, costruisce tutta la sua linea difensiva.
Per quel principe del foro dall’eloquio forbito e dalla gestualità teatrale, il suo assistito è responsabile delle truffe ai danni di alcune donne ma non della loro scomparsa, tantomeno della loro fine.
Landru durante le numerose deposizioni, rivolgendosi alla corte, ripete come un mantra di mostrargli i cadaveri, o quantomeno i resti.
Ma i morti non saltano fuori. Dal giardino della villa di Gambais affiorano dei denti, qualche frammento carbonizzato di ossa umane, persino brandelli di animali, ma non altro.
Landru sui primi resti glissa; quanto agli altri spiega come appartengano a dei cani uccisi su richiesta della legittima proprietaria.
Quei macabri particolari campeggiano sui principali quotidiani francesi per i quali quell’imputato eccellente è, oramai, ribattezzato Barbablù, come il protagonista della fiaba di Charles Perrault, in cui si narra la storia di un uxoricida responsabile della morte delle sue sei mogli.
La testa è tagliata, morte di un serial killer
Il 30 novembre 1921 arriva l’attesa sentenza. Henri Desiderè Landru viene condannato alla pena capitale. La data per l’esecuzione è fissata per l’ultimo sabato di febbraio del 1922.
Landru ascolta serafico la lettura del verdetto emesso dalla giuria, quasi non lo riguardasse, come se in quell’aula vi fosse per caso.
Trascorre i pochi mesi che lo separano dalla ghigliottina sereno, in linea con lo stile che ha sempre avuto fin dal primo giorno del processo.
Versailles, 25 febbraio 1922, prigione di Saint Pierre. La ghigliottina che ha spiccato teste celebri come quella di Maria Antonietta, troneggia nel bel mezzo del cortile, montata in piena notte dal leggendario Anatole Deibler, il boia più famoso di Francia, capace nella sua carriera di eseguire ben 395 esecuzioni.
Manca solo il condannato a morte che esce dalla sua cella allo spuntar dell’alba, a nulla è servito l’estremo tentativo di Vincent de Moro-Giafferri di salvargli la vita.
La richiesta di grazia, avanzata al presidente della repubblica francese, il socialista Alexandre Millerand, è stata respinta, una decisione accolta, come scrive ancora Pietro Nenni, con un certo stupore perché non tutti sono convinti della colpevolezza di Henri Landru.
Alle 6.05, Anatole Deibler, discendente di una vera e propria dinastia di boia, aziona la lucida lama che decapita Henri Désiré Landru, la cui ultima richiesta, esaudita dalle autorità carcerarie, è stata quella di essere sbarbato, un vezzo per risultare agli occhi delle donne ancora più affascinante.
Tra i presenti c’è anche l’avvocato di Landru che in quella fredda mattina di fine febbraio chiosa da par suo, motteggiando il grande Victor Hugo:
«Un giudizio irreparabile presuppone dei giudici infallibili…»