Il grande storico dell’arte Claudio Strinati ha definito la decisione di papa Francesco di farsi seppellire dentro la basilica romana di Santa Maria Maggiore come «uno dei gesti più clamorosi del suo pontificato» un ulteriore atto per non omologarsi alla Curia «per sottolineare la sua autonomia.»
Non è possibile sapere se dietro la scelta del papa argentino ci sia quanto auspicato dal professor Strinati, di certo il legame tra Bergoglio e la più grande chiesa dedicata a Maria è sempre stato fortissimo e costantemente ribadito nel corso di tutto il pontificato di Francesco.
Di certo, il papa latinoamericano non è stato il primo e molto probabilmente neppure l’ultimo successore di Pietro a essere seppellito in Santa Maria Maggiore. Prima di lui, infatti, sono stati ben sette quei pontefici che, in tempi diversi, hanno scelto l’antica basilica sul colle Esquilino come luogo per ospitare le loro spoglie.
Questo è il racconto, sospeso tra storia e arte, delle sepolture papali in Santa Maria Maggiore.
Non solo il Vaticano come luogo di sepoltura
Da decenni la scelta di San Pietro come luogo di sepoltura papale è data per assodata, assolutamente scontata ma nei secoli passati, tuttavia, non è sempre stato così.
Sono più di settanta quei papi seppelliti fuori dal Vaticano, trenta di loro, addirittura, lontano da Roma. Una quarantina, invece, sono quei pontefici che pur scegliendo la Città eterna hanno preferito farlo non nella basilica di San Pietro, prediligendo, al contrario, altre dimore.

Ventidue sono i papi ad oggi seppelliti in San Giovanni in Laterano, tra cui Leone XIII, l’ultimo pontefice, prima di papa Francesco a non scegliere la basilica petrina. Cinque, invece, i pontefici che hanno preferito rispettivamente Santa Maria sopra Minerva e San Lorenzo fuori le Mura; solo tre, al contrario, i papi tumulati in San Paolo fuori le Mura mentre solo uno, Clemente XIV, ha scelto la chiesa dei Santi Dodici Apostoli, un unicum eternato, però, dal genio di Antonio Canova, autore di un cenotafio assolutamente meraviglioso.
Sette, infine, come già anticipato, quei pontefici, prima di papa Francesco che hanno eletto Santa Maria Maggiore a luogo di eterna sepoltura.
Onorio III e Niccolò IV
Tra i successori di Pietro il primo in assoluto che “adottò” in eterno Santa Maria Maggiore fu Onorio III. Nato Cencio Savelli, eletto papa nel 1216, a soli due giorni dalla morte del suo predecessore, Onorio III, nel corso del suo pontificato, più volte espresse la volontà di essere seppellito nella basilica di Santa Maria Maggiore, chiesa di cui era stato canonico e che al suo tempo era già una delle più importanti di tutta la cattolicità.

Edificata sotto Sisto III, anche se un’inveterata leggenda vuole che sia stata commissionata da papa Liberio, sul luogo di una miracolosa nevicata avvenuta nel mese di agosto del 358 d.C., Santa Maria Maggiore accolse le spoglie di Onorio III il 18 marzo 1227, quando si concluse, dopo quasi undici anni, il pontificato di papa Savelli.
Dovettero trascorrere solo pochi anni perché un altro papa, Niccolò IV, scegliesse la basilica mariana come luogo di sepoltura. Marchigiano di Lisciano, piccolo paese in provincia di Ascoli Piceno, Girolamo Masci, questo il suo nome prima dell’elezione, divenne papa nel 1288, primo francescano a salire sul soglio petrino.
Come per Onorio III la scelta di Santa Maria Maggiore fu assolutamente naturale, visto che il papa, morto il 4 aprile del 1292, da diversi anni abitava in un palazzo vicino alla basilica mariana, un luogo che preferiva di gran lunga a tutte le altre sedi apostoliche della Città eterna.
La traslazione di papa Pio V
Dovettero trascorrere quasi due secoli prima che il corpo di un altro papa tornasse a essere tumulato in Santa Maria Maggiore. Motivazioni politiche ma anche più meramente pratiche furono alla base della scelta di altri luoghi cimiteriali.
Fu uno dei più grandi pontefici del suo tempo, il piemontese Antonio Michele Ghisleri, a tornare in Santa Maria Maggiore. Eletto il 7 gennaio 1566, in un conclave dominato dall’autorevole figura di Carlo Borromeo, Pio V, questo il nome che il domenicano scelse, anche in ossequio al papa che lo aveva nominato cardinale, indirizzò il suo pontificato lungo la direttrice dell’umiltà, del rigore religioso, della lotta alla Riforma, della predominanza della preghiera, della totale rinuncia agli sfarzi e a tutti quei segni di opulenza che avevano spesso caratterizzato l’esistenza dei suoi predecessori.

Nei suoi cinque anni e mezzo di pontificato Pio V si fece anche notare per alcune scelte squisitamente politiche che videro la città di Roma come protagonista assoluta.
Per un uomo di fede come il Ghisleri era intollerabile che la culla della cattolicità fosse una sorta di novella Babilonia. Per questo vietò l’accattonaggio, l’adulterio, persino il Carnevale, una festa dal sapore pagano, inconciliabile con i dettami evangelici. Particolarmente attivo fu l’impegno di Pio V contro il meretricio, fenomeno largamente diffuso nella città di Roma che papa Ghisleri provò ad arginare, confinando le prostitute nella poco ospitale area dell’Hortaccio, una mefitica zona a ridosso del Tevere.
Ma il pugno di ferro di papa Ghisleri che in politica estera si fece fautore dell’ostinata resistenza all’espansione ottomana, ottenendo il trionfo di Lepanto, riguardò anche agli ebrei, vittime di una serie di provvedimenti papali che ridussero ulteriormente i loro già pochi diritti.
Pio V, canonizzato nel 1712 da Clemente XI, morì il 1° maggio del 1572. Inumato, inizialmente, in San Pietro, il corpo fu, in seguito, per volontà di Sisto V, traslato in Santa Maria Maggiore e deposto in un monumento funebre degno del ruolo che quel pontefice aveva ricoperto all’interno della Chiesa di Roma.
Sisto V volle per lui un’imponente struttura, capace di ricoprire l’intera parete di sinistra di quella che oggi è la Cappella Sistina. Progettata da Domenico Fontana, l’architetto di fiducia di Sisto V, il sacello papale ruota tutto intorno alla statua di Pio V, opera dello scultore Leonardo Sormani, lo stesso che realizzerà il discusso Mosè della Fontana dell’Acquedotto Felice.
Papa Ghisleri, il cui corpo è collocato dentro un’urna di cristallo ai piedi della statua, è rappresentato benedicente, circondato da diversi pannelli in marmo, riproducenti alcuni momenti chiave del pontificato di Pio V quali l’elezione, l’incoronazione ma anche la battaglia di Lepanto, in cui le truppe della Santa Alleanza trionfarono su quelle ottomane o la tragica mattanza di ugonotti durante la notte di San Bartolomeo, il 24 agosto 1572.
Il monumento funebre di Sisto V
Se Pio V non aveva lasciato indicazioni specifiche sul luogo di sepoltura, la medesima affermazione non può essere fatta per Sisto V, la cui tumulazione in Santa Maria Maggiore fu una sorta di atto dovuto, tale fu in vita il legame tra la basilica liberiana e il pontefice nativo di Grottammare, borgo marchigiano affacciato sul mare Adriatico.
Per Felice Montalto Peretti la basilica mariana era più di una semplice chiesa; era un luogo dello spirito, un posto dove sentirsi in pace con sé stesso e con il mondo intero.
A quell’antica basilica mariana e al quartiere che da secoli l’abbracciava, quel pontefice che Giuseppe Gioacchino Belli definì il papa tosto per sottolineare la durezza delle decisioni politiche, dedicò moltissime attenzioni, ponendola al centro del suo fitto programma di lavori pubblici.
Sisto V scelse per il suo eterno riposo un ampio spazio alla fine della navata di destra, in asse con l’altare della navata centrale, nel cui ipogeo è custodita quella che si ritiene la Sacra Culla di Betlemme, una delle più venerate reliquie della cristianità.

L’edificazione di quello spazio fu affidato dal papa al solito Domenico Fontana, il dominus del programma urbanistico sistino che letteralmente trasformò Roma, rendendola una città più vivibile e moderna, un’impronta urbanistica ancora oggi facilmente leggibile. Fontana concepì, uno spazio circolare, collocando al centro un imponente ciborio, opera dello scultore Ludovico Del Duca, sotto al quale si cela il primo presepe della storia, quello realizzato da Arnolfo di Cambio su commissione del francescano Niccolò IV.
In quella che diventerà la Cappella Sistina ma al tempo era nota come Cappella del SS Sacramento, Fontana, oltre al già citato monumento funebre di Pio V, concepisce anche quello dedicato al suo grande mecenate, quel Sisto V a cui professionalmente dovette moltissimo. Papa Peretti viene scolpito da Giovanni Antonio Paracca, più noto come il Valsoldo, dal luogo di nascita, orante e genuflesso, una iconografia progettata dallo stesso Fontana, decisamente inusuale, visto il carattere battagliero del papa marchigiano.
La statua del Valsoldo, tuttavia, per l’evidente maestosità ma anche per la disarmonia di alcuni particolari, fu fin da subito oggetto di salaci critiche che non si stemperarono neppure nei secoli a venire. Nell’Ottocento, il grande medievista Gregorovius, evidenziò come i caratteri del volto di Sisto V, scolpiti dal Valsoldo, fossero non solo sproporzionati rispetto al resto del corpo ma anche decisamente grossolani.
La tomba di Clemente VIII
Non esenti da critiche fu anche il monumento funebre di Clemente VIII, collocato in quella che oggi è nota come Cappella Paolina o Borghese, dal nome di papa Paolo V che, poco dopo la sua elezione, avvenuta il 16 maggio 1605, diede ordine di ricavare nell’ultimo spazio disponibile della navata laterale di destra di Santa Maria Maggiore, la futura cappella di famiglia.
Nativo di Fano, discendente della nobile casata degli Aldobrandini, Clemente VIII si fece notare nel corso del suo non breve pontificato, per il suo stile ascetico, improntato al rigore assoluto, per la sua lotta senza quartiere alle forme di divertimento e lussuria ma anche per aver avallato due celebri condanne a morte; quelle di Giordano Bruno e di Beatrice Cenci.

Clemente VIII fu anche il papa del grande giubileo del 1600, attraverso il quale provò, invano, a riconciliarsi con una parte di quel popolo che non gli aveva perdonato quell’eccesso di moralità ma, soprattutto, le presunte implicazioni in quelle due condanne eccellenti.
Alla morte, avvenuta il 3 marzo 1605, Clemente VIII fu seppellito in San Pietro. Fu Paolo V, succeduto a Leone XI, il cui pontificato durò solo diciassette giorni, a traslare il corpo di papa Aldobrandini in Santa Maria Maggiore e collocarlo con tutti gli onori nella costruenda cappella di famiglia.
Tuttavia, anche la statua di Clemente VIII, opera dello scultore Giacomo Longhi, non fu esente da critiche.
In tanti notarono, come per le statue di Pio V e Sisto V, un’evidente sproporzione, specie riguardo alla testa, davvero troppo voluminosa.
Dalla magnificenza della tomba di Paolo V alla modestia di quella di papa Francesco
Se l’ultimo papa a essere seppellito in Santa Maria Maggiore, almeno prima di Francesco, fu Clemente IX, il più celebre degli “ospiti” è stato, senza ombra di dubbio, Paolo V.
Nato Camillo Borghese, eletto papa nel 1605, passato alla storia per essere stato non solo un grande mecenate ma anche un convinto fautore del nepotismo, Paolo V pur legando il suo nome alla basilica di San Pietro (sotto il suo pontificato venne terminata la massiccia e molto discussa facciata, con tanto di epigrafe riportante il nome del papa) scelse, tuttavia, la chiesa sull’Esquilino come luogo di sepoltura.
Venne tumulato nella cappella di famiglia, dove in seguito troveranno spazio anche le spoglie mortali del cardinale Scipione Borghese e, soprattutto, di Paolina Bonaparte, sorella di Napoleone ma imparentata anche con i Borghese, avendo sposato in seconde nozze, un Borghese, anch’egli di nome Camillo.

Concepita dall’architetto Flaminio Ponzio per ospitare, secondo i desiderata di papa Borghese, la Salus Popoli Romani, l’antica e venerata immagine della Vergine, secondo la tradizione dipinta non da mani umane, la Cappella Paolina rappresenta indiscutibilmente una delle maggiori vette artistiche di tutta la splendida basilica mariana. A lasciare di stucco non è solo il complesso e imponente apparato scultoreo ma soprattutto la superba decorazione della cupola, mirabile opera del Cigoli, raffigurante la Vergine tra gli angeli e gli apostoli, curiosamente posta dal pittore toscano sulla luna con tanto di crateri, da poco scoperti da Galileo Galilei.
Quanto al monumento funebre di Paolo V questi occupa l’intera parete di sinistra della cappella Borghese e ricalca per imponenza, scelte stilistiche e impianto iconografico non solo quello prospiciente di Clemente VIII ma anche quelli della vicina Cappella Sistina.
Papa Borghese, scolpito da Giacomo Longhi, è rappresentato in posizione orante, al centro di una serie di bassorilievi che narrano i momenti più salienti del suo pontificato.
Un’imponenza, una magnificenza che non appartengono, invece, alla tomba di papa Francesco, collocata in una nicchia prima della Cappella Borghese. Si tratta, infatti, di una tomba semplice, con la riproduzione della croce in ferro dalla quale papa Bergoglio non si staccò, simbolo di umiltà e del valore assoluto della povertà e con la presenza, sul candido marmo, di una sola parola, Franciscus, il nome che scelse all’atto della nomina, primo pontefice ad assumerlo nella storia della Chiesa, sintesi perfetta di quello che sarebbe stato il suo pontificato.
A proposito dei monumenti funebri realizzati nel XVI e XVII secolo nella basilica liberiana, Antonio Menniti Ippolito in un suo saggio ha scritto:
«Con le sepolture in Santa Maria Maggiore si impone definitivamente lo stile nuovo delle sepolture (…) Le tombe si fecero anzi sempre più grandiose, tendendo sempre più verso l’alto e rendendo la figura del pontefice oltre modo maestosa.»