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La costruzione del Muro di Berlino, cronaca di una ferita

1961 costruzione del Muro di Berlino

Nella notte fra il 12 e il 13 agosto 1961 a Berlino iniziò la costruzione di quello che, di lì a poco, diverrà il Muro, la più evidente, iconica, materiale espressione della Guerra Fredda, una frattura che improvvisamente divise un unico popolo, lacerandolo nel profondo, una ferita che neppure con la caduta del Muro, nell’autunno del 1989, fu semplice cauterizzare.

Questo è il racconto della costruzione del Muro di Berlino, una storia ancora aperta.

Berlino e le due Germanie prima del Muro 

La sorte di Berlino, ancora prima della fine della Seconda Guerra Mondiale, è praticamente segnata.

Le quattro potenze vincitrici, che di lì a pochi mesi schiacceranno definitivamente l’acerrimo nemico nazista, stabiliscono il futuro di Berlino. L’ex capitale dell’impero tedesco e, ancor prima, della Marca di Brandeburgo e del Regno di Prussia, sarà divisa in più zone, sulla falsa riga di quanto previsto per l’intera Germania.

Questa impostazione diviene più netta con la conclusione del conflitto, quando Berlino viene ripartita in quattro settori, amministrati da Francia, Stati Uniti, Regno Unito e Unione Sovietica, con quest’ultima che controlla la zona più vasta delle quattro, un diritto che Stalin si era guadagnato sul campo, essendo stata la sua Armata Rossa, il primo degli eserciti alleati a entrare nella Berlino nazista.

Un simile accordo, preludio alla divisione della Germania in due Stati, non poteva non generare contrasti fra le tre potenze occidentali e l’Unione Sovietica, i cui appetiti sulla Germania e sull’ex città di Federico il Grande, non erano affatto nascosti.

Berlino, con la nascita della Germania Ovest (la Repubblica Federale Tedesca) e della Germania dell’Est (la Repubblica Democratica Tedesca) nel 1949, diviene, di fatto, un’enclave, visto che l’area dell’ex capitale prussiana cade interamente nel territorio orientale, una condizione non semplice, specie per una grande città che aveva già patito sulla propria pelle gli effetti del cosiddetto Blocco di Berlino, messo in atto dai sovietici con lo scopo di isolare la parte occidentale di Berlino.

Una situazione che fu aggirata dagli occidentali solo con la creazione di un costante ponte aereo che, per 462 giorni, dal 24 giugno 1948 al 12 maggio 1949, permise agli abitanti di Berlino Ovest il necessario sostentamento, attraverso la fornitura di cibo e di tutti quei beni necessari per vivere.

Il Blocco di Berlino fu l’apogeo della tensione fra occidentali e sovietici ma anche dopo il superamento di quella crisi, la vita nella ex capitale continuò a non essere semplice. Troppo importanti erano gli interessi in campo, decisamente rilevante, agli occhi di un mondo sempre più diviso, il ruolo storico, politico e, soprattutto, ideologico della città, sempre più segnata dalla Guerra Fredda.

La costruzione del Muro di Berlino

L’idea di realizzare una barriera fisica a Berlino che renda impossibile il passaggio dall’Est all’Ovest inizia a maturare tra i vertici della Repubblica Democratica Tedesca già a metà degli anni Cinquanta. L’esodo costante di cittadini orientali verso i lidi occidentali è una pratica costante e che origina con la divisione della Germania in due stati. 

A lasciare il territorio orientale sono perlopiù giovani sotto i 25 anni, ma anche professionisti quali medici e ingegneri, una diaspora che priva lo stato orientale delle braccia e delle menti migliori, mettendo un’ipoteca sul futuro prossimo, acuendo una situazione economica e sociale già critica e che il governo tedesco riesce a stento a controllare.

L’annus horribilis di questo inarrestabile fenomeno è il 1960, quando a lasciare la Germania Orientale, specie attraverso Berlino, sono ben 200.000 tedeschi dell’Est, un numero enorme che spinge gli alti vertici a cambiare strategia, a imporre drastici e immediati correttivi, tra cui, il più eclatante, sarà, senza dubbio, quello di costruire una barriera che metta fine a quell’esodo.

La proposta viene avanzata dai vertici della Germania dell’Est e inviata direttamente a Mosca che, da tempo, vive quella costante diaspora come un problema serio, da risolvere quanto prima.

Ecco come lo storico Carlo Pinzani, nel suo Da Roosevelt a Gorbaciov. Storia delle relazioni fra Stati Uniti e Unione Sovietica nel dopoguerra, racconta la preoccupazione del leader sovietico in merito all’esodo dei tedeschi orientali:

«Il problema per Krusciov si faceva sempre più urgente dal momento che la continua emorragia di risorse umane dalla RDT, e particolarmente di tecnici e diplomatici, rendeva vani gli sforzi dei dirigenti tedesco-orientali di edificare un secondo stato tedesco.»  

A seguito di una specifica conferenza del Patto di Varsavia arriva la raccomandazione «di stabilire alle frontiere di Berlino occidentale procedure affidabili al fine di sbarrare la strada della sovversione contro i paesi della comunità socialista; di porre in atto un valido sistema di tutela e di effettivo controllo attorno tutto il territorio di Berlino Ovest, compreso il confine con Berlino democratica.»

Insomma, dal massimo vertice del comunismo internazionale arriva il placet per Walter Ulbricht, il potente leader della DDR (l’acronimo, in tedesco, della Repubblica Democratica tedesca) a prendere immediati provvedimenti. 

Nikita Chruščëv e Walter Ulbritcht
Nikita Chruščëv e Walter Ulbritcht

Nello specifico Ulbricht è autorizzato a costruire una barriera fisica, antesignana del futuro Muro.

Questa decisione, tuttavia, non deve assolutamente trapelare, per questo, quando le voci su un possibile muro iniziano pericolosamente a circolare, la reazione politica è immediata e improntata alla negazione assoluta. Così, il 15 giugno 1961, il presidente del consiglio di stato della RDT spegne quegli incipienti rumors: «Nessuno ha intenzione di costruire un muro.»

Ma è una smentita a cui non crede nessuno, nemmeno gli stessi vertici politici.

Nella notte fra il 12 e il 13 agosto, a due mesi da quell’improvvida dichiarazione, in corrispondenza dei confini del settore sovietico verso Berlino Ovest, vengono innalzati degli sbarramenti provvisori, realizzati prevalentemente con del filo spinato ma si provvede anche a interrompere intere tratte stradali con l’eliminazione dell’asfalto, un modo brusco ma efficace che rende, anche visivamente, Berlino divisa in due parti.

Quando la notizia della costruzione di quello, che nei mesi successivi prenderà più chiaramente la forma di un vero e proprio muro, si diffonde a tutte le latitudini, i media occidentali, con poche variazioni sul tema, sottolineano l’effetto di totale sorpresa di quella repentina mossa messa in atto a pochi giorni dal Ferragosto.

Il mondo occidentale, con il giovane presidente americano in testa, rimane sbalordito, anche se più di qualche storico si è convinto nel corso degli anni che a Washington sapessero del Muro e, in qualche modo, avessero, informalmente autorizzato la sua costruzione; d’altra parte i confini tra le due Germanie erano stati già militarizzati a partire dal 1952 con la chiusura di 3 autostrade, 32 linee ferroviarie e un’infinità di strade ordinarie ma mancava ancora un tassello per completare la divisione, quello più importante, mancava Berlino.

Il Muro di Berlino: una città divisa, le reazioni a quella improvvisa separazione  

I berlinesi, il 13 agosto 1961, si svegliano con la peggiore delle sorprese possibili: la loro città è, di fatto, divisa, tagliata in due e nel modo più evidente e drammatico possibile. 

Intere famiglie sono spaccate in due, spezzate da una decisione che sconcerta, gettando completamente nel panico. Neppure il berlinese più pessimista poteva immaginare che la sua città potesse pagare sulla propria pelle e in modo così duro, le politiche imposte dall’imperante Guerra Fredda.

La posa dei primi blocchi del Muro di Berlino
La posa dei primi blocchi del Muro di Berlino

Il borgomastro di Berlino Ovest, Willy Brandt, futuro cancelliere della Germania Occidentale, nonché fautore della cosiddetta ostpolitik, si fa immediatamente portavoce dell’intera città, denunciando con toni non certo remissivi, il sopruso che le autorità orientali, adeguatamente sostenute da quelle sovietiche, hanno messo in atto.

Ma Brandt le manda a dire anche agli Alleati, in primis agli americani, a suo avviso incapaci di una ferma reazione a quell’assurda, inaccettabile decisione.

Dal regime orientale la risposta allo sconcerto dei berlinesi dell’Est è canonica. I dirigenti orientali si premurano di sottolineare come quella separazione sia stata dettata dalla necessità di «impedire le attività ostili delle forze revansciste e militariste della Germania Occidentale e di Berlino Ovest.» 

Si tratta, invero, di una dichiarazione in perfetto stile sovietico che tace l’aspetto più importante: ai tedeschi orientali sarà impedito l’attraversamento del confine, la possibilità di andare nella Germania Ovest, un divieto che darà adito, quasi subito e per tutta la quasi trentennale vita del Muro, ai più svariati tentativi per fuggire, per cercare l’agognata libertà.

Il più soddisfatto del nascente muro è Walter Ulbricht, il leader della DDR, «il vassallo di più stretta osservanza che la Russia abbia nei Paesi satelliti» come scrive il 24 agosto, a due settimane dalla costruzione del Muro, Indro Montanelli sulle pagine del “Corriere della Sera”.

Il settantenne Ulbricht, originario della Sassonia, uno dei pochissimi dirigenti comunisti salvatosi dalle purghe staliniane, ritiene che quel muro sarà la più netta reazione all’esodo dei tedeschi orientali, un fenomeno che dalla nascita della Repubblica Democratica Tedesca ha interessato tre milioni di persone, passate, a vario titolo, dal confine orientale a quello occidentale.

Ulbricht, nonostante le formali e reiterate proteste di Willy Brandt che si aggiungono a quelle di migliaia di altri comuni cittadini, va avanti per la sua strada, la divisione di Berlino è un fatto incontrovertibile, una decisione irreversibile.

I primi tentativi di fuga da Berlino Est, tra successo e dramma

La costruzione del Muro prosegue spedita. Nel giro di poco tempo le iniziali recinzioni vengono sostituite da una vera e propria parete, una lingua di cemento che, all’acme della sua costruzione, raggiungerà oltre 150 chilometri di estensione, un confine, quasi invalicabile, tra due pezzi di un’unica città.

Walter Ulbricht è soddisfatto, la sua DDR, ora, è più protetta. Il vecchio leader è convinto che i berlinesi, sottratti alle lusinghe occidentali, si adatteranno nel minor tempo possibile al “socialismo reale” apprezzandone gli indubbi vantaggi.

Ma non tutti sono favorevoli a quel Muro. Per una frangia della popolazione berlinese quella divisione è una ferita dolorosa, un limite inaccettabile che giustifica un’unica reazione: la fuga.

La dirigenza comunista è a conoscenza di questi mal di pancia, di questa carsica protesta, per questo aumenta a dismisura la vigilanza e in modo molto evidente.

Il confine fra le due Berlino è sorvegliato notte e giorno da 14.500 soldati, quasi la metà del contingente impiegato lungo tutta la frontiera con la Germania dell’Ovest. A questi guardiani ben visibili che hanno l’ordine preciso di sparare qualora qualcuno tenti di fuggire, si aggiungono gli uomini della Stasi, la famigerata polizia politica, «il più grande e impenetrabile servizio di sicurezza che la storia umana abbia mai conosciuto» per dirla con le parole dello storico Falanga che alla questione della storia del Muro di Berlino e della Stasi ha dedicato più di un saggio.   

Nonostante il grande occhio vigili costantemente, il Muro è oggetto, fin da subito, di tentativi di fuga, alcuni riusciti, altri, invece, finiti nel dramma. Nei soli primi sette anni da quel fatale 13 agosto 1961, sono ben 122 mila i tedeschi orientali che illegalmente lasciano la Germania dell’Est e fra questi la maggioranza lo fa attraverso il confine di Berlino Est.

Si tratta di un numero importante, ben maggiore di quei 118 mila che ufficialmente hanno lasciato il paese per trasferirsi all’estero.

A fuggire sono principalmente giovani sotto i 25 anni, mossi dal desiderio di una vita migliore a pochi passi dalla libertà. Ma non tutti ce la fanno.

Nei primi sette anni sono ben 73 le persone uccise mentre tentano di attraversare il Muro, quasi lo stesso numero di tutti quelli ammazzati mentre provano ad attraversare la frontiera con l’Ovest.

Molti, però, ce la fanno, come nel caso di sei giovani tedeschi orientali.

In fuga da Berlino e dal muro a bordo di un piroscafo

L’8 giugno 1962, a quasi dieci mesi dall’inizio della costruzione del Muro, un gruppo di ragazzi mette in atto una fuga a dir poco rocambolesca, una delle più stravaganti e originali, un’evasione che entrerà, di diritto, nella storia delle fughe messe in atto nei quasi trent’anni del Muro di Berlino. Come nel caso della fuga attraverso una galleria scavata nel sottosuolo sotto il Muro che diede la libertà a 29 persone e che fu realizzata da due italiani, originari di Gorizia, qualcosa di epico, al punto da essere narrato da Ken Follet nel suo I giorni dell’eternità, il terzo e ultimo capitolo dell’avvincente trilogia dedicata alla storia del Novecento .

A dare vita a questa clamorosa fuga sono sei marinai dipendenti di una società di navigazione proprietaria del piroscafo Friedrich Wolff, un natante da poco varato e destinato a compiere gite sull’Havel, il secondo fiume, dopo lo Sprea, di Berlino.

Il sequestro dell’imbarcazione viene attuato nel pieno della notte quando i sei marinai, con il pretesto di festeggiare l’imminente Pentecoste, una festività religiosa molto sentita in Germania, invitano a bordo il comandante e il macchinista del Wolff.

La nottata scorre via rapida fra casse di birra e, con buona pace dei francesi, di due bottiglie di champagne russo e di altrettante di cognac, originario della Crimea.

Gli effetti soporiferi di quella pantagruelica bevuta, dalla quale sapientemente i marinai si astengono, sono quasi immediati. Il sonno coglie il comandante e il macchinista che lesti vengono legati e rinchiusi in una cabina, mentre sul piroscafo salgono altre persone, parenti e amici stretti dei marinai, a cui si aggiungono in seguito due tecnici.

La fuga prende avvio alle prime luci dell’alba, quando l’imbarcazione inizia a percorrere uno dei canali di Berlino Est direzione Ovest, destinazione libertà.

L’intento dei sei marinai non sfugge alle vedette orientali che inseguono il piroscafo e iniziano a fare fuoco. Ma la fortuna arride a quei fuggitivi, perché i proiettili esplosi dagli agenti orientali provocano solo lievi danni all’imbarcazione che sana e salva, con il suo prezioso equipaggio, supera il confine, entrando a Berlino Ovest.

Il 9 giugno 1962 il “Corriere della Sera” così titolerà in prima pagina l’avventurosa fuga, degna di un romanzo di Jules Verne:

S’impadroniscono di una nave per evadere da Berlino Est.

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