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“Diventerai papa”. L’elezione di Urbano VIII

Maffeo Vincenzo Barberini, papa Urbano VIII

Il 6 agosto 1623, dopo un estenuante conclave, viene eletto il cardinale Maffeo Barberini, il 235° papa della storia della Chiesa. Questo è il racconto di Urbano VIII, uno dei pontefici più celebri di sempre.

Da Firenze a Roma, passando per Pisa

Roma, 6 agosto 1623, Cappella Sistina. L’afa è insopportabile per i cardinali riuniti da settimane in quello scrigno di incommensurabile bellezza, da decenni deputato all’elezione dei papi.

Dopo trentasette scrutini dall’urna esce il nome del futuro papa, il nuovo successore di Pietro. Si chiama Maffeo Barberini, a lui i cardinali elettori hanno affidato il compito di reggere la Chiesa di Roma in uno dei momenti più difficili di sempre.

Un giovane Maffeo Barberini ritratto da Caravaggio
Un giovane Maffeo Barberini ritratto da Caravaggio

Fiorentino di nascita, Maffeo Barberini viene al mondo nella città di Dante, nella primavera del 1568. Se ignota è la data di nascita, certa, invece, è quella in cui viene battezzato: 5 aprile 1568.

Discendente da una famiglia di commercianti, originari di Barberino Val d’Elsa, Maffeo, dopo la prematura morte del padre Antonio, lascia la natia Firenze per Roma, dove vive lo zio Francesco, protonotaio apostolico.

Nella Città Eterna Maffeo va a studiare nel prestigioso Collegio romano, la scuola dei gesuiti, fucina di talenti che, non di rado, fanno carriera nello Stato della Chiesa.
E Maffeo non sfugge a questo assioma.

Terminati gli studi presso i gesuiti, si trasferisce a Pisa, dove nel 1589 consegue il dottorato in studi giuridici. Ed è proprio nella città della Torre che è protagonista di un episodio in bilico tra predestinazione e ciarlataneria.

Un giorno, appena uscito dall’università, si imbatte in Andrea Lorestino, un siciliano trapiantato a Pisa che si arrangia prevedendo il futuro. Maffeo mosso dalla curiosità mette alla prova quel sedicente astrologo di cui, però, si dice un gran bene. Gli chiede cosa sarà di lui e il responso è da far tremare i polsi.

Lorestino annuncia al giovane Barberini che diventerà papa, un pronostico che Maffeo sulle prime derubrica a poco più di una burla ma che il 6 agosto 1623 ricorderà con un sorriso decisamente compiaciuto.

Conclusi gli studi lascia Pisa per tornare a Roma. Per un giovane preparato e ambizioso come lui la città dei papi è il luogo ideale per spiccare il gran salto, nel solco dello zio Francesco, figura centrale nella vita del giovane rampollo.

Ricco, astuto, potente, Francesco Barberini prepara per l’amato nipote, di cui ha individuato il talento ma anche la sfrenata ambizione, la strada per il successo.
La carriera ecclesiastica di Maffeo è rapida e costellata da incipienti successi. Nel settembre del 1604 viene ordinato sacerdote; meno di un mese dopo, il 20 ottobre, arriva la nomina a vescovo di Nazareth, residenza fittizia, in verità, perché quella reale, da diverso tempo per ragioni di sicurezza, si trova a Barletta.

Il cardinale Maffeo Barberini
Il cardinale Maffeo Barberini

Poi, nel dicembre dello stesso anno, ottiene il prestigioso incarico di nunzio apostolico a Parigi, investitura che precede di due anni quella a cardinale, sulla quale pesano e non poco le benemerenze acquisite in terra di Francia dal Barberini.

Maffeo salpa da Civitavecchia per la Francia il 10 dicembre 1604 con un seguito già “papale”. Tra familiari e collaboratori a salire sulla nave diretta a Marsiglia sono in venti, compresi il poeta pistoiese Francesco Braccolini (l’autore del poema Lo scherno degli Dei con cui ridicolizza le divinità pagane) e Francesco Adriano Ceva che diventerà l’ombra del futuro papa, risultando, peraltro, decisivo per la sua elezione.

A imporre la berretta porpora al neo cardinale non è papa Paolo V, bensì il re di Francia Enrico IV, un atto che certifica lo stretto legame tra il Barberini e il regno francese, terra che lascia definitivamente nel 1607 per assumere prima l’incarico di protettore della Scozia e poi quello di vescovo di Spoleto.

Proprio in questo periodo di incalzante ascesa Maffeo Barberini decide di modificare lo stemma di famiglia. Dall’antico blasone toglie i tre tafani, animali poco degni a rappresentare una casata come la sua, per inserire le leggendarie api, insetti nobili, da sempre sinonimo di laboriosità, perfetti per simbolizzare una dinastia come quella dei Barberini; e quelle api, ben presto, voleranno su Roma, posandosi definitivamente sulla basilica di San Pietro.

L’elezione di Urbano VIII: un conclave tra politica e diplomazia

L’8 luglio 1623, dopo poco più di due anni di pontificato, muore nel palazzo del Quirinale che da decenni ospita i pontefici, papa Gregorio XV, al secolo Alessandro Ludovisi.

Trascorrono solo un paio di settimane e il 19 luglio, nel pieno di una torrida estate, si apre nella Sistina il conclave che dovrà dare alla Chiesa di Roma il successore di Pietro.

A essere infuocato non è solo il clima meteorologico ma anche quello politico; d’altra parte l’elezione di un papa è prima ancora che un fatto metafisico, una vicenda squisitamente politica, specie nel pieno di una guerra come quella Guerra dei Trent’anni.

Sono ben cinquantacinque i cardinali che siedono sugli scranni distribuiti lungo il perimetro della Sistina e di questi, almeno quindici, risultano papabili. Spetterà a loro eleggere il nuovo papa ma non sarà facile viste le profonde divisioni che oppongono la fazione filofrancese a quella filospagnola, con buona pace dello Spirito Santo e delle due bolle pontificie, la Aeterni Patris del 1621 e la Decet Romanorum Pontificem che papa Gregorio XV aveva promulgato, provando ad arginare la strabordante influenza che gli stati stranieri esercitano sul conclave.

Fin dai primi scrutini appare manifesto lo stallo in cui annaspa il collegio cardinalizio. I papabili in quota Ludovisi, Borghese e Aldobrandini, le famiglie più potenti dell’Urbe, non ottengono i voti necessari per l’agognata fumata bianca.

I giorni passano e il caldo sotto gli affreschi michelangioleschi diviene insopportabile. All’aria irrespirabile si aggiunge pure la malaria che infida si insinua tra gli scranni cardinalizi mietendo non poche vittime, specie tra i porporati più anziani.

Lo spettro di una possibile epidemia, l’afa insopportabile, le pressioni esterne che come al solito non mancano, portano i padri elettori a più miti consigli. Decisiva, in tal senso, è la mediazione condotta dai cardinali italiani Antonio Caetani, Maurizio di Savoia, Odoardo Farnese e dai tedeschi Zollern e Klest. A questo fitto lavoro diplomatico si aggiunge quello sapientemente imbastito da Francesco Adriano Ceva, il segretario di Maffeo Barberini, il cui impegno, in seguito, sarà premiato con il cardinalato.

La sera del 5 agosto nella Sistina la sensazione dominante è che a breve l’empasse sarà superato. E così accade.

Il giorno seguente, dopo trentasette scrutini, il cardinale protodiacono Alessandro D’Este pronuncia l’atteso Habemus papam.

Roma, le cui campane risuonano a festa, ha finalmente il suo nuovo pontefice.
La scelta dei padri cardinali è caduta su Maffeo Barberini, sarà lui il nuovo pastore della Chiesa di Roma.

Urbano VIII, molto più di un semplice nome

Al momento del fatidico qui sibi imposuit nomen, ovvero la scelta del nome da assumere una volta eletti papa, Maffeo Barberini, uomo colto e raffinato non ha dubbi e sceglie quello di Urbano.

Difficile sondare le recondite motivazioni che sottendono tale preferenza. Secondo alcuni storici Maffeo opta per quel nome in memoria di Urbano II, pontefice vissuto sul finire dell’anno Mille e passato alla storia per aver indetto la prima crociata. Di certo, dietro quel nome c’è anche la volontà di palesare un manifesto programmatico, apponendo il suo personalissimo sigillo sul pontificato che sta per principiare.

Urbano, infatti, rimanda alla parola latina urbs, città in italiano, e Roma è l’urbe per eccellenza, ammantata di secoli di storia, città che il neo pontefice vuole cambiare a sua immagine, lasciando un segno scolpito nel marmo, seminando api ovunque, la cifra di un vasto e complesso progetto culturale, il mezzo migliore per promuovere lui e la sua potente famiglia.

Il nuovo papa, d’altra parte, è fermamente convinto, come ha scritto Jake Morrissey nel suo Geni rivali, Bernini e Borromini e la creazione di Roma barocca «che uno dei suoi compiti come capo della Chiesa è quello di migliorare la città di Roma, di abbellirla per la maggiore gloria di Dio.»

Un nome, dunque, quello di Urbano davvero epifanico e che prima di Maffeo hanno scelto in sette, di cui l’ultimo, in ordine di tempo, è stato Giovanni Battista Castagna, eletto il 15 settembre 1590, nel conclave seguito alla morte di Sisto V.
Ma sul soglio petrino Urbano VII, nato a Roma ma di origini genovesi, vi rimane una manciata di giorni.

Il 27 settembre 1590, dopo soli dodici giorni di pontificato, poco prima della mezzanotte, Giovanni Battista Castagna si spegne a causa della malaria contratta tre giorni dopo essere stato eletto. Il pontificato di Urbano VII, che non fa in tempo neppure a essere incoronato, è, ancora oggi, il più breve della storia della Chiesa.

Ma il Barberini, al contrario di papa Castagna, sul trono papale di Santa Romana Chiesa ha intenzione di rimanerci a lungo, imprimendovi la sua personalissima firma.
E così sarà.

Urbano VIII, il papa mecenate

Il pontificato di papa Barberini non inizia sotto i migliori auspici. L’estenuante conclave gli ha lasciato in eredità una violenta febbre malarica che lo ha notevolmente indebolito, costringendolo a una lunga convalescenza che ritarda la solenne incoronazione, celebrazione che si svolgerà solo il 29 settembre.
Poi, 4 novembre, in ossequio al rigido cronoprogramma vaticano, Urbano prende ufficialmente possesso della cattedrale di San Giovanni in Laterano. Ora è davvero il nuovo romano pontefice.

Urbano VIII fin dal primo giorno mostra quali saranno le linee del suo pontificato e tra queste c’è un convinto mecenatismo, figlio di quell’amore per le arti, per il bello, per la cultura, realtà che apprezza, coltiva e incoraggia da sempre e che lo hanno portato negli anni a circondarsi di moltissimi artisti, in primis poeti.

Nell’amata residenza di Castel Gandolfo, che il Barberini preferisce ai palazzi papali, specie nelle torride estati romane, sono diversi i letterati a essere ospitati. La pace di quella dimora lacustre, di recente restaurata da Carlo Maderno, ispira non solo gli scrittori che si alternano al desco papale ma anche lo stesso pontefice che, non di rado, si diletta nell’arte poetica, già autore del Maphei Cardinalis Barberini poemata, libro di poesie, il cui frontespizio viene disegnato da Gian Lorenzo Bernini.
Ma è nell’architettura che si manifesta in modo più tangibile il mecenatismo di Urbano VIII e a giovarsene sarà proprio la Città eterna.

Roma, nel corso del lungo pontificato di Maffeo Barberini, muta la sua immagine, divenendo come ha scritto lo storico dell’arte, Arnold Hauser, la città barocca che oggi conosciamo e ammiriamo.

Alla realizzazione di questa nuova città contribuiscono artisti del calibro di Francesco Borromini, Pietro da Cortona, Andrea Sacchi, personalità diverse per carattere e sensibilità artistica ma unite dalla comune genialità. Ma è con Gian Lorenzo Bernini che Urbano VIII crea il connubio perfetto, foriero di impareggiabili meraviglie, simbiosi culturale che Domenico Bernini, figlio dell’artista napoletano, sintetizzerà perfettamente, raccontando l’incontro tra il padre e il novello pontefice all’indomani dell’elezione del 6 agosto:

«È gran fortuna la vostra, o cavaliere, di veder papa il cardinal Maffeo Barberini; ma assai maggiore è la nostra che il cavalier Bernino viva nel nostro pontificato.»

Nella città dei Cesari sorgono nuove chiese come Sant’Ivo alla Sapienza, capolavoro di Francesco Borromini; mirabili opere come il superbo Baldacchino in San Pietro; imponenti palazzi, a partire da quello di famiglia, la cui cura il papa affida ai più valenti architetti, tra cui, ovviamente, l’immancabile Gian Lorenzo Bernini; ma, soprattutto, spuntano praticamente ovunque scroscianti fontane, epifanie liquide della magnificenza del Barocco, forse il simbolo più suggestivo del manifesto culturale di papa Barberini.

Ma il pontificato di Urbano VIII che si conclude il 29 luglio 1644,  non è solo lustro e splendori, è anche spoliazioni del passato come nel celeberrimo caso della trabeazione bronzea dell’atrio del Pantheon, letteralmente smantellata per realizzare dei cannoni per Castel Sant’Angelo.

Uno sfregio inaccettabile che scuote una Roma che non dorme mai, lesta a percepire anche il più flebile sussurro, emettendo, poi, la più tagliente delle sentenze, inesorabile destino a cui non sfugge neppure il papa in persona.

Il Barberini è al corrente del malumore cittadino per il riuso del bronzo del Pantheon, per questo prova a stemperare gli animi facendo diffondere una notizia falsa. Quali cannoni, le oltre 150 tonnellate di bronzo sono servite per contribuire a un sogno: il meraviglioso baldacchino berniniano di San Pietro.

Ma quella “fake news” in salsa barocca dura l’attimo di un amen. La lagnanza non solo non si smonta ma si rafforza, cavalcando il destriero della protesta. I romani già da tempo insofferenti verso il papa fiorentino, imputano allo stesso non solo l’episodio del Pantheon ma anche le spoliazioni di molte opere antiche, proditoriamente accolte nel palazzo di famiglia e che rimpolpano la già ricca collezione artistica dei Barberini.

E quel brusio diviene ben presto dissenso, ispirando la più celebre statua parlante capitolina, quel Pasquino che nell’eternità del marmo, irriverente sentenzierà:

«Quod non fecerunt Barbari fecerunt Barberini!»

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