I giorni dell’eternità, il terzo e ultimo capitolo della trilogia che Ken Follett ha dedicato al Novecento, è, probabilmente dei tre romanzi che compongono The century trilogy, quello più bello, più avvincente.
Lo schema è sempre lo stesso, quello già adottato da Follett non solo in questi romanzi ma anche per libri quali I pilastri della terra o Un mondo senza fine, ovvero mischiare personaggi reali ad altri frutto della sua fervida fantasia, creando, così, un intreccio fedele ai fatti storici, che appassiona e non tradisce.
Al centro del romanzo c’è il periodo storico che va dal 1961, quando Berlino fu divisa improvvisamente dal muro, al 1989 quando quella lingua di cemento, quella ferita mai cauterizzata che separava una città ma soprattutto un’umanità, cadde sotto i fendenti della storia.
In mezzo la Guerra Fredda, la conquista dello spazio, gli assassini dei due fratelli Kennedy, John e Robert, e Martin Luther King e la tragedia infinita del Vietnam, una guerra sporca che affossò la vecchia America, dettando nuovi ritmi, sorprendenti tendenze.
Perché accanto ai fatti storici Ken Follett riproduce i suoni di quei decenni, tastando il polso di un mondo che rapidamente stava mutando, imponendo curve sempre più impressionanti a un percorso apparentemente rettilineo.
Fatti epocali che Follett ci fa rivivere attraverso la vita di tanti personaggi usciti dal cilindro magico della sua fervida fantasia, quella stessa che originò nel 1978, quando diede alle stampe La cruna dell’ago, il primo di una fortunatissima carrellata di straordinari successi.
A scandire i tempi della storia sono i discendenti di quelle famiglie, i Peskov, gli Ulrich, i Williams, i Dewar, che avevano fatto il loro esordio nel primo dei tre libri, quel La caduta dei giganti, con cui iniziava questa ennesima avventura storica di Ken Follett.
Ecco, allora, salire sul palcoscenico della storia, entrando molto spesso dalla porta principale, George Jakes, ragazzo di colore che ha un unico sogno: quello di vivere in un’America in cui le differenze razziali siano definitivamente superate, Walli Franck che desidera con tutto sé stesso di scappare da Berlino Est per vedere se dall’altra parte del Muro la vita sia migliore, Dave Williams che nell’Inghilterra dove muovono i primi passati gruppi rock leggendari come i Beatles sogna, anche lui di diventare una star della musica.
Persone normali, profili di gente comune che accarezzano la storia, lasciandosi letteralmente rapita da essa.
Come ci aveva già abituato nei precedenti due libri, Follett intreccia le storie di questi e moltissimi altri personaggi inventati con quelle di veri protagonisti della storia e allora entreremo nella Casa Bianca, dove si muove senza impaccio un giovane e affascinante John Kennedy, il presidente su cui milioni di americani hanno scommesso un giorno di novembre del 1960.
Andremo nella Cuba di Fidel Castro, quando l’isola caraibica fu al centro della storia, diventando l’oggetto del Risiko delle due potenze mondiali, Stati Uniti e Unione Sovietica, bramose di mostrare i pugni, minacciando una terza guerra mondiale, oppure visiteremo di nascosto il Cremlino, entrando nelle gelide stanze dell’ovattato e geriatrico potere sovietico, attaccato al feticcio di una Rivoluzione, quella del 1917, che da troppo tempo era stata tradita a favore di un regime spietato che respingeva stolidamente le timide istanze di cambiamento.
E poi salteremo, in questo suggestivo ping pong geografico, a Berlino e vivremo in diretta il dramma della costruzione del Muro, quando d’improvviso una città, un’umanità fu divisa, sacrificata sull’altare della Guerra Fredda, dove la terribile Stasi, la polizia segreta della Germania dell’Est, l’apoteosi folle di un regime, perfettamente rappresentata dall’odioso e insulso Hans Hoffmann, che fu capace di controllare la vita di ogni berlinese, spiando in un disegno perverso e disumano anche il più intimo dei segreti.
I giorni dell’eternità come una macchina del tempo ci conduce lungo i sentieri della Storia, facendoci percorrere i rettilinei, le improvvise curve, facendoci saltare fossati imprevisti e obbligandoci a fermarci davanti a panorama mozzafiato.
Anni, quelli raccontati da Follett in questo suo capitolo finale della trilogia dedicata al Novecento, scanditi dal desiderio vero di cambiamento, come quello di migliaia di neri americani stanchi di soprusi, angherie, inaccettabili limitazioni, infinite ingiustizie ma segnati anche dalla cieca violenza perpetrata in Vietnam e dal sogno dei berlinesi dell’Est di fuggire via, di oltrepassare quell’odioso Muro per scorgere un barlume di libertà.
Accanto a George Jakes, a Maria Summers, a Walli, Dave, Evie faremo, tra gli altri, la conoscenza dei fratelli Kennedy, del vice presidente degli Stati Uniti Lyndon B. Johnson, del pragmatico Ronald Reagan, del segretario comunista Nikita Chruščëv e dei suoi algidi successori Breznev o Andropov, ci entusiasmeremo per il coraggio di uno sconosciuto elettricista, il polacco Lech Walesa che divenne il protagonista di un sogno, sentiremo la voce forte e chiara del reverendo Martin Luther King, emozionandoci per il suo eterno I have a dream.
Un romanzo che conduce il lettore nei luoghi dove è stata scritta la storia fatta però non solo di fatti ma anche di suoni, parole, voci, vestiti, speranze, sogni, delusioni.
Vivremo grazie a Follett nel più bel videogame che è un libro la febbricitante attesa di libertà dei popoli dell’Est quando, grazie anche al nuovo corso intrapreso dal nuovo segretario del Partito comunista dell’Unione Sovietica, Michail Sergeevič Gorbačëv, che infuse speranza e desiderio di cambiamento.
Saremo, allora, in fila sulle piccole e rumorose Trabant, l’utilitaria dei popoli di oltre Cortina, la Volkswagen dei tedeschi orientali, scatolette di metallo, vanto dell’industria tedesca orientale, in coda a due passi della storia in quel novembre del 1989.
Leggere I giorni dell’eternità, edito da Mondadori, equivale a scorrere l’album della Storia più recente, unendo punti apparentemente lontani sul mappamondo per disegnare un unico, straordinario intreccio, fatto di storia e storie, di vite e di emozioni attraverso il miglior modo possibile: la letteratura.
Il Novecento, come ha scritto lo stesso Follett, è stato un secolo drammatico, forse il più drammatico fra tutti, scandito da due terribili guerre, da infinite atrocità, un secolo sillabato dall’inquietudine ma anche dalla modernità, dalla voglia di trasgredire, contestare, cambiare, un secolo, però, ritmato anche dal desiderio più intimo di lottare quello che permette, alla fine, di non smettere mai di sognare.