Fatti della Storia

La nascita del giardino zoologico nella Roma di Nathan

Storia del giardino zoologico di Roma

Il 5 gennaio 1911, dopo un anno e mezzo di lavori incessanti, viene inaugurato, a Roma, il giardino zoologico, un’istituzione, la prima del genere in Italia, che, specie all’epoca, rappresentò un luogo dal grande fascino e non solo per la presenza di animali che in pochi avevano visto dal vivo ma anche per il contesto architettonico in cui furono inseriti.

Questo è il racconto dello zoo di Roma, una realtà, solo apparentemente marginale nella storia capitolina, perché quell’istituzione si legò agli avvenimenti politici e sociali della capitale, condividendone successi e delusioni di una città che aspirava a diventare una grande.

Dai serragli ai giardini zoologici europei

Se l’idea del giardino zoologico, ovvero di una struttura che risponde a precisi criteri espositivi, è un’acquisizione risalente alla fine del XVIII secolo, quella di collezionare animali vivi, principalmente selvatici ed esotici, per il puro piacere di possederli, è, al contrario, un’esigenza che origina nella notte dei tempi.

Nei palazzi dei sovrani assiri, babilonesi, persiani ma anche in quelli dei faraoni egiziani o degli imperatori romani la presenza di tigri, elefanti, leoni, ippopotami ma anche iene e giraffe, non è per nulla rara, salvo, tuttavia, sparire, quasi del tutto, con la caduta dell’Impero romano.

Bisogna aspettare l’inizio dell’età moderna perché la passione di collezionare animali vivi torni in auge, anche sulla scorta della scoperta dell’America. Dal “nuovo mondo” gli esploratori ritornano carichi di pietre pregiate, di cibi raffinati ma anche di animali sconosciuti, come gli affascinanti pappagalli, uccelli dal piumaggio variopinto che vanno a impreziosire le sale dei potenti dell’epoca, specie quelle dei papi che, come ricorda lo storico William Wesfall, espongono questi uccelli nelle sale di ricevimento delle loro lussuose residenze, non a caso ribattezzate le sale del pappagallo, ostentando, in tal modo, un «simbolo di ricchezza ed elemento necessario da inserire negli ambienti di rappresentanza.»

Pur crescendo in numero e grandezza le collezioni zoologiche cinquecentesche non possono definirsi antesignane dei moderni zoo, essendo, più che altro, dei serragli, sorti per compiacere il desiderio dei loro ricchi committenti.

La concezione di un’esposizione di animali permanente e soprattutto pubblica nasce solo in pieno Settecento. È nell’Età dei Lumi che si afferma, come ricorda la storica Maria Catalano, una moderna scienza zoologica che, con una morale tipicamente illuministica, aspira a «rendere comune e accessibile a tutti il patrimonio della cultura in quanto espressione della ragione umana.»

In questa ottica è inevitabile che il primo giardino zoologico della storia nasca nella Parigi rivoluzionaria del 1793, un’istituzione concepita a uso pubblico, destinata al divertimento e all’istruzione della popolazione.

Lo zoo parigino, i cui primi ospiti provengono dalla saccheggiata collezione della Ménagerie reale, è il primo di tanti che, specie nella seconda metà dell’Ottocento, sorgono in diverse metropoli europee, da Londra ad Amburgo ma anche negli Stati Uniti, dove il movimento zoologico, pur decollato in ritardo rispetto a quello europeo, avrà uno sviluppo notevole, in virtù, anche, dei maggiori spazi di cui gli americani potevano godere.

Il dibattito sul giardino zoologico a Roma

Nella giovane capitale italiana si inizia a discutere sull’opportunità di creare un moderno giardino zoologico all’indomani dell’elezione di Ernesto Nathan a sindaco di Roma. A incoraggiare tale dibattito è, in particolare, la recente inaugurazione dello zoo di Stellingen, vicino Amburgo, aperto nella primavera del 1906.

Carl Hagembeck ideatore dello zoo di Roma
Carl Hagembeck

Si tratta di una struttura originalissima, ben diversa da quelle già esistenti, come lo zoo di Londra, uno dei più vecchi in Europa, essendo stato inaugurato nel 1828. La struttura tedesca, ribattezzata il paradiso degli animali, è quanto di più moderno si possa immaginare in tema di esposizione di animali, realizzata sulla base delle avveniristiche idee di Carl Hagembeck.

Commerciante di animali selvatici, con cui rifornisce i vari zoo europei, Hagembeck da anni coltiva il sogno di creare un giardino zoologico moderno, in cui le opprimenti gabbie, tipiche di tutte le strutture zoologiche disseminate in Europa, lascino il posto ad ampi spazi dove collocare gli animali in modo affascinante e originale.

Ecco come lo stesso Hagembeck spiega la sua rivoluzionaria idea che trova a Stellingen piena applicazione:

«Il concetto fondamentale che ha presieduto alla costruzione del paradiso degli animali è stato quello di conservarli nel loro ambiente naturale, dando loro tutta la libertà possibile e provvedendo a loro nel modo più rispondente all’indole, alle abitudini di vita, alle condizioni del luogo di origine.»

Stellingen entusiasma subito i tantissimi visitatori, ammaliati dall’illusione che gli animali custoditi siano in libertà, come quelli che animano il panorama africano, indubbiamente il fiore all’occhiello della struttura zoologica tedesca.

Si tratta di una realtà in cui antilopi, cicogne, gru ma anche zebre e, soprattutto, leoni sembrano convivere in un medesimo spazio, con tanto di specchi d’acqua e montagne. In realtà, fra quegli animali, specialmente, fra i leoni e le varie specie di erbivori, esistono dei fossati, barriere impossibili da attraversare che, di fatto, fungono da invisibili recinzioni, conferendo, però, al pubblico, come ha scritto James Fischer, uno dei massimi esperti di strutture zoologiche, la sensazione di «un tratto di terreno ininterrotto.»

Tra i primi visitatori di Stellingen c’è anche un entusiasta Nicodemo Severi, di professione creatore di giardini urbani, suo, tra gli altri, quello in piazza Cavour a Roma. Severi, una volta tornato in Italia, diviene uno dei massimi promotori dello zoo capitolino, una pressione mediatica che porterà frutti insperati.

Nel dicembre 1907 la Giunta comunale approva la decisione di costruire un giardino zoologico secondo i moderni dettami attuati in Germania. Si tratta di un provvedimento in linea con l’indirizzo politico che l’amministrazione presieduta da Ernesto Nathan ha promosso fin dal primo giorno e teso a trasformare Roma «in una grande Metropoli ove scienza e conoscenza indirizzino insieme ai destini patri, rinnovate attività artistiche, industriali e commerciali.»

La posa della prima pietra dello zoo di Roma

Poche settimane dopo la decisione presa dalla giunta capitolina, viene costituita la società che dovrà sovraintendere alla realizzazione del primo giardino zoologico italiano, la cui progettazione, manco a dirlo, viene affidata a Carl Hagembeck convinto, fin da subito, di poter realizzare una struttura che supererà per efficienza e modernità, non solo gli zoo di Londra e Berlino, costruiti sulla scorta di criteri superati ma perfino quello di Stellingen e questo grazie alle «meravigliose condizioni di clima che permetteranno sia una migliore acclimatazione degli animali, sia un completo adattamento e sviluppo della lussureggiante flora.»

Progetto dello zoo di Roma di Carl Hagenbeck (1909)
Progetto dello zoo di Roma di Carl Hagenbeck (1909) / Pubblico dominio (Wikipedia)

Individuata l’area nella parte più settentrionale di Villa Borghese, oltre dieci ettari di terreno incolto, partono immediatamente i lavori perché l’obiettivo è quello di inaugurare lo zoo nel 1911, quando Roma sarà il centro non solo dei festeggiamenti per il cinquantenario del Regno d’Italia ma anche la sede, con Torino e Firenze, le precedenti capitali italiane, dell’Esposizione universale.

La prima pietra del futuro zoo viene posta il 10 maggio 1910 in un clima di generale, irrefrenabile entusiasmo.

Una delle prime opere a essere realizzate è l’ingresso principale, il primo e più evidente biglietto da visita. A firmare l’imponente struttura è un giovane ingegnere, Armando Brasini, il cui nome, specie nel periodo fascista, si legherà a molti edifici nella capitale.

Brasini, coadiuvato da Giulio Barluzzi, concepisce un ingresso monumentale, caratterizzato da un alternarsi di linee concave e convesse che, inevitabilmente, rimandano alle linee borrominiane, un ingresso che, come si legge nella Guida del Giardino Zoologico, edita nel marzo del 1911, «pel suo stile ben si adatta allo stile della Villa.»

Ma si tratta, tuttavia, di una scelta architettonica non da tutti condivisa. Quel linguaggio seicentesco viene criticato e non poco dagli ambienti accademici e in particolare da Giulio Aristide Sartorio, contrario a quello stile neobarocco che però, decenni dopo, sarà definito da Renato Nicolini, architetto e geniale assessore della Giunta di Luigi Petroselli, «un fresco ed elegante pezzo di bravura del giovane Brasini.»

Fra le tante architetture che nel corso dei mesi prendono vita, degne di nota, per l’originalità e l’impatto finale, sono la Casa dei Pachidermi, con il suo stile egizio, le Montagne alpine, destinate agli stambecchi, opera dello scultore svizzero Eggenschwyler, il Rettilario, la Casa delle scimmie e il Panorama Glaciale, i cui vari ambienti, vicini ma diversi fra loro per architetture e spazi, andranno a ospitare gli orsi bianchi, le foche e le otarie.

Ernesto Nathan e Carl Hagenbeck durante i lavori dello zoo di Roma
Ernesto Nathan e Carl Hagenbeck durante i lavori dello zoo di Roma / Pubblico dominio (Wikipedia)

Ma ancor prima delle singole strutture è l’insieme del giardino a colpire per originalità, rispondendo, appieno, all’innovativo concetto di Hagembeck, quello di creare l’illusione di una serie di ecosistemi accostati fra loro e che hanno nel grande edificio del Ristorante (oggi sede del Museo di Zoologia) il perno principale, il punto di vista privilegiato di osservazione.

Ecco come nella già citata guida dello zoo di Roma, viene descritto il Ristorante, realizzato dall’ingegner Serafini e, soprattutto, la magnifica vista che si gode:

«Alla destra del viale si erge sull’altura in bellissima posizione, l’edificio del Ristorante con i suoi terrazzi e verande. E di là si ha un magnifico colpo d’occhio sul panorama dell’interno Giardino. Nel primo piano il lago, più indietro il recinto abbondantemente abitato dai Ruminanti, poi le tane dei Carnivori e nel fondo le case delle Antilopi e delle Giraffe: a destra ed a sinistra le tane degli Orsi bianchi e degli Orsi bruni e, nascosta nel verde dei Bambù, la Casa dei Rettili.»

L’arrivo degli animali al giardino zoologico di Roma, un’emozionante sfilata

Uno dei momenti più esaltanti della realizzazione dello zoo capitolino è, senza dubbio, l’atteso arrivo degli animali che del futuro giardino zoologico saranno i protagonisti assoluti.

Questa singolare arca di Noè giunge a Roma il 2 novembre 1910. Gli animali arrivano a bordo di un treno speciale, partito otto ore prima dalla stazione di Amburgo. Tanti i romani che, nonostante l’ora tarda, assiepano la banchina del binario della stazione Termini pur di scorgere animali, in molti casi, mai visti prima.

Ecco allora sfilare giraffe, leoni, bisonti, tartarughe, lupi, canguri, tigri ma anche elefanti, serpenti, scimmie, orsi, bufali, foche e innumerevoli specie di uccelli. Un campionario zoologico che fa strabuzzare gli occhi dei tantissimi presenti, tanto che i romani scortano quel corteo fino all’ingresso della loro futura casa, nella porzione di Villa Borghese da alcuni anni ribattezzata Villa Umberto.

Nei giorni successivi sui quotidiani le notizie sugli animali sono numerose e attirano, inevitabilmente, l’attenzione dei lettori che, in tal modo, fanno la conoscenza dell’elefante africano Toto (divenuto in seguito famoso per alcune comparse cinematografiche  ma, soprattutto, per aver ucciso prima il veterinario, il dottor Canezza e poi il guardiano Ivo Calavalle)  dei “cugini” indiani Mimì e Greti, del rinoceronte Moritz ma anche dell’orsa bruna Lola, regalata allo zoo direttamente dal Comune di Roma e di una coppia di Nandù grigi, dono del re Vittorio Emanuele III.

Ma forse l’animale che desta maggiore curiosità, fra i tanti che sfilano in quella notte d’autunno, è Lisa, una giraffa nubiana costata ben ventimila lire e proveniente dall’Abissinia meridionale.

La giraffa, oltre che per il suo incedere, si contraddistingue anche per qualcosa che ha appeso al collo. Si tratta di tre sacchetti di cuoio contenti delle sentenze del Corano, rigorosamente scritte su pergamena, un amuleto africano per “proteggere” Lisa in quella sua nuova vita romana.

L’inaugurazione poco fortunata del giardino zoologico di Roma

Fa freddo quel 5 gennaio 1911 quando i cancelli dell’ingresso principale vengono spalancati. Un tempo da lupi di cui sono persuasi tutti, meno i lupi, i quali, come scrive l’inviato del “Corriere della Sera” «se ne stavano in un cantuccio della loro caverna», al contrario dei tanti presenti, sferzati da un vento gelido e da una pioggia incessante che scioglie la neve caduta su Roma nei giorni precedenti.

Tra gli ombrelli aperti per tentare di arginare il diluvio, si scorgono i profili del prefetto Annaratone, quello del sottosegretario all’Agricoltura Luciani, il volto compiaciuto del principe Francesco Chigi, subentrato al barone Sonnino alla guida della Società che ha realizzato lo zoo, e soprattutto, quello di Ernesto Nathan.

L'ingresso al giardino zoologico di Roma di A. Brasini
L’ingresso al giardino zoologico di Roma di A. Brasini / foto: Stefano Chiacchiarini

Al discorso dell’onorevole Luciani, per il quale «con il giardino zoologico Roma si mette all’altezza delle più grandi città» si aggiunge quello di un inorgoglito Nathan che, però, prima della conclusione si toglie qualche sassolino, augurandosi come quegli stessi che hanno imputato all’amministrazione comunale di aver ceduto al giardino zoologico un angolo di Villa Borghese, possano, ora che lo zoo è stato inaugurato, riconoscere quanto quell’accusa fosse del tutto ingiustificata, visto che tutti, giornalisti in primis, passeggiando per i viali del giardino zoologico provano una sensazione di assoluta meraviglia.

Ecco come “Il Messaggero” descrive lo stupore totale che pervade i presenti nel giorno dell’inaugurazione.

«E tutti invero mostrarono di interessarsi visibilmente allo spettacolo nuovo che parava dinnanzi. L’illusione è infatti completa. È sparita ogni forma di continuità, data, così come è stato fatto ad ogni famiglia di fiere una località speciale che l’arte degli esecutori ha voluto fosse la più possibilmente rassomigliante ai loro luoghi natii. Il visitatore può, con uno sforzo di immaginazione, trasportarsi con la mente sia alle sconfinate e sabbiose savane, sia ai ghiacciai mari del nord, alle sponde lussureggianti dei fiumi africani, alle vette gelide degli iceberg gel polo.»

Lo zoo non piace solo alle autorità ma, a partire dal primo giorno di apertura pubblica, anche ai comuni cittadini che affollano la struttura. Il sabato di Pasqua, ad esempio, sono ben 9000 i visitatori che varcano i cancelli dello zoo, in un clima di generale festa.

Ma le nubi minacciose che avevano segnato la giornata inaugurale, di lì a poco, tornano a farsi vedere.

Il fallimento dello zoo dopo solo quattro anni di vita

L’iniziale entusiasmo scandito da numeri record con il passare dei mesi scema sensibilmente. Alla base del malcontento dei visitatori ci sono, innanzitutto, alcune evidenti lacune della struttura, inaugurata nonostante fosse incompleta, una decisone a cui si era fermamente opposto lo stesso direttore, il dottor Knotterus Meyer, che, al contrario aveva proposto ai soci di aprire lo zoo solo a patto che «tutto fosse stato pronto.»

A fare da cassa di risonanza sulle carenze del giardino zoologico ci pensa il quotidiano romano “Il Messaggero” alla cui redazione giungono moltissime lettere di protesta di visitatori che muovono appunti in vario senso alla organizzazione del Giardino Zoologico, criticata per la mancanza dei cartellini che indichino il genere e le specie, per i prezzi eccessivi del biglietto d’ingresso e del ristorante ma, soprattutto, per la carenza di idonei mezzi pubblici, un problema, quest’ultimo, che il presidente della Società Francesco Chigi aveva sollevato a pochi mesi dall’inaugurazione.

In una lettera datata 5 maggio 1911 e indirizzata direttamente al sindaco Nathan, Chigi sottolinea come sia assolutamente indispensabile, se non si vuole «veder perire l’istituzione del Giardino zoologico nel suo nascere» che il Comune si adoperi per realizzare «comodi e rapidi mezzi di comunicazione, fino a ora mancanti».
La protesta del presidente Chigi trova parziale accoglimento. Nel febbraio 1912, infatti, il Consiglio comunale delibera la realizzazione di una linea tramviaria specifica per lo zoo, una decisione importante ma per l’avvenire, il presente, infatti, rimane oltremodo fosco.

Tanto che i vertici della Società gestrice dell’impianto zoologico, delusi dall’atteggiamento del sindaco e della sua Giunta, decidono di arrivare in alto, inviando addirittura una lettera al presidente del Consiglio Giovanni Giolitti, nella quale elencano le varie problematiche.

Ma anche dal governo risposte immediate tardano ad arrivare. Il futuro dello zoo romano appare sempre più plumbeo come evidenziano i successivi esercizi economici, tutti, immancabilmente, negativi.

La crisi si acuisce nel 1914 quando, per fronteggiare le pesanti perdite, la direzione decide la vendita di molti esemplari, una scelta inevitabile ma che intacca e non poco la collezione faunistica che passa dai 1029 esemplari del 1913 ai 901 dell’anno successivo.

Poi, a far precipitare la situazione, arriva l’entrata dell’Italia nella Prima guerra mondiale. Il Paese ha altri problemi a cui pensare e le difficoltà dello zoo romano finiscono, inevitabilmente, nel dimenticatoio. Nell’acceso clima bellico finisce anche il direttore dello zoo Toedoro Knotterus Meyer, reo, come scrive “Il Messaggero” di essere «tedesco di prima marca e italofobo arrabbiato che farebbe bene se ritornasse in Germania.»

Errori di gestione, mancata realizzazione dei mezzi di comunicazione, circostanze sfavorevoli e non prevedibili, come l’eccessivo perdurare del maltempo nell’inverno 1914-15 e il già citato conflitto mondiale, determinano l’irreparabile.
Il 21 luglio 1915, a poco più di quattro anni dall’inaugurazione Società Anonima del Giardino zoologico dichiara fallimento.

Ma la città non può e soprattutto non vuole perdere un luogo ormai entrato nel cuore dei romani. Per questo il 20 novembre 1917 il Comune di Roma assumerà la gestione diretta dello zoo che, due anni dopo, si trasformerà in azienda municipalizzata, una trasformazione che non solo garantirà la sopravvivenza del giardino zoologico di Roma ma permetterà il suo totale riscatto. Ma questa è un’altra storia che, magari, racconteremo più avanti.

N.B. Il presente articolo è un estratto della mia tesi di laurea dal titolo Scienza e capitali: lo zoo di Roma da Nathan al Governatorato, relatore professor Ferdinando Cordova, correlatrice professoressa Lidia Piccioni.

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