Plautilla Bricci non fu solo un’architettrice geniale e una pittrice di talento ma anche una donna libera, emancipata che per amore dell’arte fece scelte non facili, riuscendo, però, ad affermarsi in un mondo declinato al maschile, in una Roma dominata dall’estro di Francesco Borromini e Gian Lorenzo Bernini.
Giovanni Bricci, il padre di Plautilla
Plautilla Bricci nasce il 13 agosto del 1616, terzogenita di Chiara Recupito e, soprattutto, di Giovanni Bricci (alcune fonti riportano il cognome Briccio), personalità decisamente poliedrica, il cui nome, nella Roma di inizio Seicento, è piuttosto conosciuto.
Giovanni non è solo un pittore ma anche musicista, scrittore, drammaturgo e, persino, poligrafo. Figlio di un materassaio genovese, un’eredità che più di qualcuno nella ristretta cerchia degli artisti gli farà più volte malignamente pesare, Giovanni, pur non avendo una vera e propria formazione culturale, mostra un’incredibile sete di conoscenza che lo porta ad attingere il sapere da più fonti e con risultati encomiabili.
Quell’innata curiosità, la voglia di imparare e, soprattutto, il desiderio di emanciparsi dal padre, non volendo seguirne le orme, vengono notate da Teofilo Sertori, avvocato concistoriale e uditore alla Sapienza che probabilmente fa la conoscenza con il giovane Giovanni nella bottega di materassi del padre, non distante dal suo nobile palazzo, a pochi passi da piazza Navona.
Giovanni Bricci ripaga quell’iniziale fiducia con grande impegno, mostrando una discreta vocazione per la pittura che lo porta a entrare nella bottega del Cavalier D’Arpino, pittore molto in voga nella Roma di quegli anni.
Ma al Bricci più che il talento e la fama interessa sfamare la famiglia che in breve cresce. Per questo accetta le committenze senza fare una vera e propria cernita, d’altra parte l’ambizione non è una sua prerogativa.
La nascita di Plautilla Bricci nella Roma del Seicento
I figli arrivano subito e sono, all’inizio, tutte femmine. La prima è Virginia, di cui è padrino proprio il Cavalier D’Arpino, a cui seguono Albinia e, nell’agosto del 1616, Plautilla, un nome poco comune come non lo sarà tutta l’esistenza della futura artista.
Plautilla, il cui etimo latino significa dai piedi dritti, al contrario delle sorelle, mostra fin da piccola interesse per le innumerevoli attività paterne, specie per la pittura. Lei lo guarda desiata mentre disegna o dipinge, vorrebbe che quel tempo non finisse mai, tanto è rapita da quei movimenti, dall’odore dei colori, dalle bianche tele che lentamente prendono vita, impregnandosi di colore.
Giovanni apprezza la partecipazione della figlia, a suo modo la incoraggia ma non è in grado di farle fare quel salto di qualità che Plautilla meriterebbe. Il rapporto artistico fra i due è ben differente rispetto a quello incorso tra Orazio Gentileschi e la figlia Artemisia. Il Bricci, infatti, preferisce che Plautilla si dedichi a portare avanti il genere pittorico devozionale, una tradizione artistica piuttosto in voga a Roma, attività che non regala la celebrità ma che permette il necessario sostentamento.
Plautilla pur desiderosa di emergere rimane per colpa del padre in uno stato embrionale; ma lei non demorde, è ambiziosa, convinta dei propri mezzi, bramosa di imparare, di sperimentare, certa che prima o poi la grande occasione arriverà.
Le occorre un colpo d’ala che in quella Roma disseminata di grandi artisti non tarderà ad arrivare.
Elpidio Benedetti, il grande mentore di Plautilla Bricci
L’opportunità che Plautilla tanto setaccia tra i vicoli di una città tentacolare, bella ma al tempo stesso crudele e complessa, prende i connotati spigolosi dell’abate Elpidio Benedetti, figlio di Lucia Paltrinieri e soprattutto di Andrea Benedetti, ricamatore papale, le sue preziose pianete sono molto ambite e rivenditore di quadri.
Elpidio scalpita, vuole uscire dal controllo paterno, anelando, anch’egli, un colpo d’ala che arriverà grazie a Francesco Barberini. Sarà, infatti, quest’ultimo a fare da tramite con il potente cardinale Giulio Mazzarino, dopo il re, l’uomo più potente di Francia.
Ecco come la scrittrice Melania Mazzucco, nel suo romanzo “L’architettrice” interamente dedicato alla figura di Plautilla Bricci, descrive Elpidio Benedetti:
Il giovane Elpidio di quel potentissimo porporato diviene una sorta di uomo ombra. Numerosissimi gli incarichi che riceve, tra i quali anche quello di scovare nella Città Eterna giovani artisti di talento.
E tra questi Elpidio, nel frattempo nominato abate, stana la giovane Plautilla, il cui nome a Roma non è proprio sconosciuto, visto che ha da poco realizzato una un’opera dai contorni miracolosi.
L’icona miracolosa di Santa Maria in Montesanto
Roma 1640, Plautilla riceve dai carmelitani di Santa Maria in Montesanto, oggi più conosciuta come la Chiesa degli Artisti, l’incarico di realizzare un dipinto raffigurante la Vergine Maria con il Bambino Gesù.
Per Plautilla si tratta di una committenza importante ma al tempo stesso impegnativa, visto che fino a quel momento non si sia mai confrontata con grandi tele, avendo sempre dipinto opere di piccole dimensioni, destinate alla devozione privata.
Al netto della bellezza della pala d’altare, Plautilla dipinge la sua Regina del Monte Carmelo con uno stile volutamente arcaicizzante che strizza l’occhio alle tele acheropite tardo medievali (le icone che si ritenevano non realizzati da mano umana), l’opera assume quasi subito una dimensione miracolosa che la rende celebre in tutta Roma.
A spiegare una simile fama sovrannaturale è una cronaca manoscritta collocata sul retro della pala che così recita:
Intervento divino o meno l’icona, di cui vengono prodotte anche diverse copie, diviene oggetto di una pubblica devozione con tanto di eventi miracolistici collegati. Le cronache riferiscono che quell’immagine acheropita abbia guarito dall’epilessia la figlia del pittore Mario dè Fiori, restituito l’uso delle gambe a una suora da tempo paralitica e, addirittura, liberato dal contagio pestilenziale un convento in via del Babuino nell’anno del Signore 1657.
Veri o meno questi fatti, conferiscono a Plautilla fama ma anche la libertà di non dover contrarre matrimonio o, al contrario, di entrare in convento, due condizioni alle quali una donna dell’epoca non poteva sfuggire. Agli occhi del clero ma soprattutto del popolo romano Plautilla Bricci è una “zitella” virtuosa destinata a vivere per sempre in uno stato virginale, una condizione che le permette di seguire il suo unico grande amore, l’arte.
Villa Vascello, Plautilla diventa architettrice
La tela di Santa Maria in Montesanto ha reso indubbiamente famosa la Bricci, tanto da ottenere altri incarichi prestigiosi, come quello per conto del monastero benedettino di Campo Marzio per cui realizza una Nascita della Vergine, lavori importanti che le permettono, tra l’altro, di entrare nella prestigiosa Accademia di San Luca, un ambiente, di norma, destinato solo agli uomini.
Ma Plautilla ha voglia di sperimentare, di affermarsi anche in altri ambiti che non siano solo quelli strettamente legati alla pittura. Da tempo coltiva il sogno di progettare degli edifici, ha studiato molto in tal senso ma vorrebbe passare dalla teoria alla pratica ma se per una pittrice affermarsi a Roma è molto difficile, per un’architettrice è pressoché impossibile.
Occorrerebbe un’occasione per dimostrare il suo talento e quell’opportunità arriva e ancora una volta a concedergliela è Elpidio Benedetti che nel 1663 affida a Plautilla l’incarico di costruirgli la sua villa, poco fuori San Pancrazio, sulla sommità del Gianicolo. La committenza è da far tremare i polsi ma non a Plautilla che si mette immediatamente a lavoro per realizzare qualcosa che sarà ricordato.
Quando presenta il progetto di Villa Benedetta all’abate, la reazione di questi è sbalorditiva. La Bricci ha pensato di costruire una dimora stupefacente che ricordi un vascello sopra uno scoglio. Un progetto audace ma che piace immediatamente al Benedetti. I lavori iniziano subito. Plautilla lavora febbrilmente, seguendo ogni aspetto della “sua villa”, non lasciando nulla di intentato, persino la scelta delle piante da mettere in dimora passa sotto il suo avallo.
In quel cantiere brulicante di uomini l’architettrice si muove senza remore, affrontando con sicurezza l’iniziale diffidenza delle maestranze, perplesse nell’essere dirette da una “femmina”. Ma quella primaria ritrosia grazie alla sua perseveranza e al suo talento in poco tempo muta in totale ammirazione.
Il risultato finale lascia tutti a bocca aperta; Villa Benedetta è sorprendente, dissimile da ogni altra dimora aristocratica. Alta, stretta, adagiata su quella che sembra una scogliera, quella casa a forma di nave che sembra sul punto di prendere il largo verso viaggi infiniti, entusiasma chiunque la veda.
Per Plautilla Bricci è un trionfo; Ora non è solo una brava pittrice ma anche una architettrice, termine coniato proprio in quell’occasione, forse il premio migliore per quella che una volta era appellata come la figlia di Giano materassaio.
Per decenni Villa Vascello, questo è il nome con cui è nota a Roma, lascia estasiati romani e turisti, tanto è singolare. Poi, però, arriva la guerra, quella tra i francesi che arrivano nella Città Eterna in difesa del deposto Pio IX e le truppe che difendono la neonata Repubblica Romana.
Il 4 luglio 1849, l’ennesimo assedio da parte delle truppe francesi, provoca la definitiva disfatta. La breve esistenza della Repubblica Romana, quella del triunvirato di Garibaldi, Saffi e Mazzini e di una Costituzione bellissima, è giunta al capolinea.
Il Gianicolo, il principale teatro di quel breve, impari conflitto, è un cumulo di macerie fumanti e tra quelle c’è anche Villa Vascello, sbriciolata dai cannoni francesi. Della creatura di Plautilla Bricci rimane solo un dagherrotipo, opera di Stefano Lecchi, che immortala quel paesaggio di rovine, davanti al quale, spavaldamente, si mette in posa un soldato francese, fiero di quel vuoto alle sue spalle, la certificazione plastica della fine di un fantastico sogno.
La Cappella di San Luigi dei Francesi, la definitiva consacrazione
Il successo, talvolta, è una bestia feroce che divora chi non sa ammansirla. Ma Plautilla Bricci è consapevole come sia effimera la gloria e di quanto il talento vada ogni giorno corroborato dall’impegno costante.
Mentre lavora per la dimora di Elpidio Benedetti ecco arrivare per Plautilla la committenza più importante, la realizzazione della cappella di San Luigi IX nell’omonima chiesa simbolo della comunità francese a Roma, già omaggiata dall’estro unico di Caravaggio.
Non si tratta di un lavoro qualsiasi, alla Bricci si chiede di progettare lo spazio architettonico che dovrà consacrare uno dei simboli della Francia, quel sovrano medievale che già in vita era acclamato santo e che fu innalzato agli altari pochi anni dopo la sua morte, l’11 agosto 1297, dal famigerato Bonifacio VIII.
Plautilla realizza una cappella tipicamente barocca, un trionfo di marmi policromi, di stucchi bianchi e colorati, un luogo perfetto dove inserire la grande tela d’altare in cui la Bricci rappresenta il monarca in tutta la sua magnificenza.
Il re, a guisa di un martire della cristianità che sta per ricevere dagli angeli la palma e la corona di rose, è raffigurato in una posa statuaria che esalta il suo duplice ruolo, quello di sovrano francese, carica sottolineata dalla corona, dallo scettro gigliato e dalla sontuosa veste regale ma anche quello di difensore della fede, funzione scenograficamente resa da quella croce astile che Luigi tiene nella mano sinistra.
La silenziosa morte di Plautilla Bricci
La vita di Plautilla Bricci non solo è piuttosto lunga, visse cinquantanove anni, tanti in un periodo in cui si muore molto spesso giovani ma soprattutto costellata di tanti successi.
A quelli descritti si aggiungono, tra gli altri, una vasta lunetta realizzata a tempera per la basilica di San Giovanni in Laterano, oggi conservata in Vaticano; due tele, purtroppo andate perdute raffiguranti San Francesco e San Domenico e uno stendardo processionale, raffigurante la nascita di San Giovanni Battista su un lato e il martirio dello stesso sull’altro, dipinto per la Compagnia della Misericordia di Poggio Mirteto, in occasione del Giubileo del 1575 e che i membri della confraternita giudicarono bellissimo.
Dopo la morte di Elpidio Benedetti prima e dell’amato fratello Basilio che aveva collaborato alla costruzione di Villa Vascello, Plautilla Bricci, sola, non si è mai sposata, in là con gli anni, provata da una vita piena ma dispendiosa, decide di varcare le porte del convento di Santa Margherita, nel popolare rione romano di Trastevere.
Plautilla muore il 13 dicembre 1705, all’alba di un nuovo secolo, con alle spalle una vita vissuta appieno con coraggio, determinazione, talento e meritato successo.
Ecco come la Mazzucco, nel già citato romanzo, immagina con la sua prosa delicata gli ultimi aneliti della rivoluzionaria esistenza di Plautilla Bricci: